Pochi giorni fa, in una giornata davvero nera, ho scritto di getto questo sfogo:
Ci sono momenti, nella mia vita da insegnante, in
cui mi sembra di essere un polipo, o qualsiasi altro essere vivente dotato di
più arti, e che essi vengano strattonati in ogni senso e in ogni direzione: la
sensazione peggiore è che vengano tirati con forza in senso diametralmente
opposto.
Parlo da insegnante, credo, “sufficientemente
buona”, secondo la definizione che Winnicot dava di una madre imperfetta, ma
sana (che in questo caso mi pare di poter assimilare a "adeguatamente
preparata") e affettivamente presente. Tale condizione mi sembra la base
su cui ogni insegnante debba costruire il proprio stare in classe e le
relazioni con gli alunni e le famiglie.
E quindi: ci sono momenti, e negli ultimi tempi li
sento, e li vivo, in modo più pressante e faticoso, in cui agli insegnanti si
chiede tutto e il contrario di tutto.
Che formino studenti pronti per le sfide
internazionali (le famose competenze europee), ma che sappiano affondare le
radici del proprio insegnamento nella “scuola di una volta” (La mia maestra era
una sola, ci faceva fare tutto e noi eravamo molto più preparati dei nostri
figli è una frase che mi è capitato di sentire più volte)
Che svolgano tutto il programma scolastico di ogni
singola materia, recuperando le difficoltà e potenziando le eccellenze, ma che
lavorino rispettando i tempi di apprendimento di ogni bambino
Che curino ordine e calligrafia, ma che stimolino i
bambini a lavorare con LIM, tablet e app
Che rispettino e promuovano l’individualità di
ognuno, ma senza differenziazioni che possano risultare discriminanti
Che siano assolutamente rispettosi dei termini di
legge, ma solo nella misura in cui non si scontrino con presunti diritti/doveri
dei propri figli e delle proprie famiglie
Che si accorgano tempestivamente, alla stregua di
logopedisti, neuropsichiatri, psicologi (competenze e lauree che ancora non
sono richieste agli insegnanti di scuola primaria) di qualsiasi tipo di
difficoltà di ogni singolo bambino (in caso contrario potrebbero essere
considerati non abbastanza attenti/competenti) e che si attivino per risolvere
queste difficoltà, possibilmente in classe ed evitando l’intervento di terzi e
la stesura della documentazione conseguente; oppure, al contrario, che
ritengano qualsiasi tipo di documentazione diagnostica la giustificazione per
ogni difficoltà o comportamento inadeguato
Che concordino con la famiglia quali informazioni
si possano o non si possano scrivere su questi documenti scritti
Che si attivino in ogni modo perché la famiglia,
tutta intera e nelle sue diverse forme, possa partecipare ad ogni
manifestazione della vita scolastica, ma che non abbiano nulla da obiettare se
ai colloqui individuali e alle assemblee di classe si presenta un solo
genitore, e talvolta neppure quello
Che conoscano a fondo le peculiarità, i bisogni, le
esigenze di ogni singolo bambino come se fosse il proprio, adeguando il proprio
stile educativo-didattico alle richieste o alle esigenze di ogni bambino e
delle rispettive famiglie
Ho bisogno di fermarmi, di respirare profondamente,
di pensare.
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A distanza di qualche giorno, anche grazie alla
condivisione con i colleghi e e con alcuni genitori, mi sento di poter
aggiungere queste riflessioni:
Le richieste sono davvero tante, e le più
molteplici; talvolta si trasformano in autentiche sfide.
Nonostante la fatica, il senso di delusione,
l’avvilimento che questa "sindrome da polipo" mi provoca nelle
giornate più nere, rimango convinta che qualsiasi problema possa essere
affrontato, anche partendo da posizioni diametralmente opposte, con
l’atteggiamento corretto da entrambe le parti: ascolto, apertura, senso di
responsabilità e, soprattutto, la condivisione dell’obiettivo comune, ovvero il
benessere di ogni bambino.
Cari genitori, entrambe le nostre visioni risultano
parziali: voi conoscete il bambino vostro figlio, noi il bambino nostro alunno.
Noi non possiamo conoscere, se non tramite voi, vostro figlio. Voi non potete
conoscere, se non tramite noi, il nostro alunno.
Per voi, le priorità sono quelle di vostro figlio,
o dei vostri figli; per noi, queste priorità vanno moltiplicate per il numero
dei bambini di ogni classe, o, in termini ancora più generali, per il numero
degli alunni di un’intera scuola. Quel che può sembrare perfetto per gli uni,
può non esserlo altrettanto per gli altri. E lì in mezzo, tra gli uni e gli
altri, ci sono i bambini, e ci siamo noi, che cerchiamo, faticosamente,
imperfettamente, quotidianamente, di fare il nostro lavoro.
Fidarci gli uni degli altri è l’unico regalo che
possiamo farci a vicenda e che conti davvero.
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