Caro signor Invalsi,
(ma no, cosa va a pensare?
L’aggettivo caro è una pura formula di rito, non c’è alcun sarcasmo. Non mi
riferisco certo ai suoi costi, in termini economici e soprattutto di ore regalate
alla tabulazione, che forse gli insegnanti avrebbero preferito utilizzare in
altro modo, e non necessariamente fuori dalla scuola. Mi scusi, riparto.)
Dicevo:
Egregio signor Invalsi,
(sì, lo so, la prova Invalsi
è di genere femminile, ma mi viene da immaginarLa come un omone barbuto. Sì, so
anche questo. Dobbiamo porre un freno all’immaginazione. Atteniamoci ai fatti
e, soprattutto, rispondiamo esattamente con le parole contenute nel testo. Mi
scusi. Cercherò di adeguarmi).
Rifacciamo, di nuovo:
Egregia Invalsi,
finalmente le prove sono
concluse
(“finalmente” non va bene?
Evoca una sensazione di sollievo, dopo una fatica, o una prova estenuante, e
non particolarmente gradita? No, guardi, l’ho intesa semplicemente nel suo senso
letterale. Finalmente, alla fine. Non mi vorrà contestare che le prove si
concludano alla fine. Questo avverbio non lo tolgo.)
e posso scrivere alcune domande
e considerazioni.
Intanto: cui prodest? A chi
giova? Non provo neppure a darmi una risposta. Sono anni che la cerco, e ancora
non l’ho trovata. Forse ci riusciranno altri. Non credo che le prove Invalsi,
dopo aver fotografato più o meno fedelmente alcune abilità o conoscenze obiettivamente
verificabili, possano giungere ad altro scopo. Gli insegnanti continueranno a
lavorare con i propri alunni seguendo le Indicazioni nazionali ma, soprattutto,
le proprie convinzioni didattiche e pedagogiche. Dubito che qualsiasi Invalsi
potrà cambiare le cose. Ed io, che non amo prove a risposta multipla, da barrare
con una crocetta, continuerò a leggere e far leggere, e a provare ad ascoltare
tutte le voci, anche e soprattutto le più fragili e dissonanti, alla ricerca di
molte visioni, e di altrettanti diversi orizzonti di senso e di crescita. Continueremo
a valorizzare la diversità, e non l’omologazione, a scrivere per imparare a
scrivere e riflettere su noi stessi, sugli altri, sul mondo, a cercare senso e
bellezza in quel che vediamo, e a provare a cambiare ciò che non ci sembra
giusto. Questo -e davvero me ne rammarico- nessuna Invalsi vorrà e potrà mai valorizzarlo,
né valutarlo. Così come molti, forse tutti, gli insegnanti converranno con me
che non è necessaria alcuna prova Invalsi per essere consapevoli che capacità e
competenze individuali, conoscenza della lingua, bagaglio lessicale, contesto
socio-economico e culturale, disturbi specifici, fanno spesso la differenza,
nella vita, e quindi anche nelle dinamiche di apprendimento, di un bambino o di
un ragazzo. Questo, più in generale.
Nello specifico: abbiamo
tabulato tutte le prove di italiano, e posso dire che, forse, cinque anni
passati a leggere, riflettere, discutere, condividere, interrogarci su noi
stessi e sugli altri hanno dato dei bei frutti maturi. Lo dicono una
piccolissima parte delle domande di background, le uniche che mi pare abbiano
avuto un valore e un significato accettabile e condivisibile per gli insegnanti
stessi, quelle sulle relazioni in classe: la percezione è che generalmente in
classe si stia bene, ci si fidi dei compagni, ci si diverta. Pare poco?
Ho invece penato un po’ sulle
domande relative alla disciplina italiano; qualcuno, più d’uno (sincerità,
Capetti, sincerità: molti più di uno) alla frase “Non vedo l’ora di fare
italiano” ha risposto “Per niente” o “Pochissimo”. Oh, come sarebbe stato bello
se tutt* avessero risposto “Totalmente” o “Molto”. Ah, sì. Vero. È probabile
che un/un’undicenne alla frase “Non vedo l’ora” preferisca associare altre
conclusioni. Via, mi consolo un po’ -almeno fino a che non leggerò le risposte
sul fascicolo di matematica.
Tralascio di commentare le affermazioni
sulle aspettative verso il futuro. Persone più capaci e competenti di me hanno
già cominciato a farlo, e sono certa continueranno a lungo nelle prossime
settimane. Vado oltre.
Vado oltre e dico che la
percezione è che moltissimi abbiano compreso il senso di ciò che hanno letto,
ci abbiano ragionato su e ne abbiano tratto le proprie, individuali,
personalissime conclusioni. E che, come sempre, ciò che appare errato
all’Invalsi non necessariamente lo è per chi l’ha scritto, né, tantomeno, per
l'insegnante, che da cinque anni conosce ogni su* alunn* e spesso ne intuisce
ragioni e motivazioni.
E d’altro canto, rifletto, nella
vita continueremo a fare esattamente questo. Perché anche se leggeremo gli
stessi libri, gli stessi articoli o guarderemo gli stessi film, ne
comprenderemo tanti aspetti diversi, tante molteplici sfaccettature quanti saranno coloro che leggono, guardano, interpretano. Qualcuno dice che 2/3 di
ciò che vediamo è dietro i nostri occhi. È gioco facile ipotizzare che molti di
noi colgano solo che più appartiene, interessa, tocca, appassiona.
Quindi no, sorprese
pochissime. Casomai, conferme; e la sensazione che lavorare per una volta in
maniera tanto dissimile e non conforme a quel che avviene di solito non ci
abbia fatto poi così male, soprattutto perché ha permesso alle ragazze e ai
ragazzi di misurarsi e mettersi in gioco su un terreno, e con delle regole, che
non sono quelli praticati abitualmente.
E anche questo è crescere.
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