mercoledì 31 gennaio 2018

Se per la Memoria non basta un giorno soltanto (anno 2)


Scivolare nella retorica progettando un nucleo di attività che abbiano come centro la Giornata della Memoria è sicuramente un rischio evidente; così come mi sembra inopportuno (e lo dico esplicitamente alle mie ragazze e ai miei ragazzi) circoscrivere temi così densi di senso dentro un ricordo stereotipato e concluso in una Giornata, non a caso scritta con la maiuscola.

Così, fedeli al motto che “Per la Memoria non basta un giorno soltanto”, anche quest’anno la nostra riflessione si è sviluppata ed è stata condivisa in più giorni, e attraverso attività diverse.

Sapevo bene, però, qual era la domanda a cui volevo che le ragazze e i ragazzi provassero a rispondere: se l’arte, oltre a rappresentare ogni aspetto, anche il più terribile, della natura umana, abbia il potere, nelle sue diverse forme e manifestazioni, di contribuire a salvare l’umanità.

È questa una domanda talmente densa, e complessa, che non ho certo la pretesa che ad essa si possa o si debba rispondere in modo univoco: mi pare però importante che sia dentro questo orizzonte che la nostra riflessione si orienti, perché essa possa acquistare senso – e mantenerlo – oltre le date, che rischiano diventare simboli vuoti e liberatori.

Abbiamo provato a sentire il dolore, la sofferenza dei popoli perseguitati o oppressi dalla guerra, passando attraverso la lettura e il tentativo di analisi di opere come L’urlo di Munch o Guernica di Picasso, confrontando generi letterari diversi (Ii Diario di Anne Frank nella sua edizione più recente e completa, ad opera di Matteo Corradini per BUR e nella versione graphic novel, Anne Frank - Diario, di Ari Folman e David Polonsky, recentemente pubblicata da Gedi )



ho mostrato alle ragazze e ai ragazzi alcune tavole del capolavoro di Art Spiegelman, Maus, Einaudi Stile Libero 2010

 La mia collega, Lisa, ha narrato loro il libro La corsa giusta, di Antonio Ferrara, Coccolebooks 2014,

e ho iniziato a legger loro il libro di Michael Morpurgo, La domanda su Mozart, Rizzoli 2008


Alla ricerca di un film da poter vedere insieme a loro, la mia scelta è caduta su Storia di una ladra di libri, tratto dal romanzo di Markus Zusak, di cui precedentemente avevo letto il libro.


È un film che mi è parso adatto a parlare alle ragazze e ai ragazzi, attraverso le vicende dei protagonisti, dell’immane tragedia che ogni guerra porta con sé, ma soprattutto di ciò per cui vale la pena vivere: la libertà, l’istruzione, l’amore, l’amicizia, il rispetto della parola data, la disobbedienza alle leggi, quando sono ingiuste e persecutorie.

Alla ricerca di un modo diverso di rappresentare il senso di questa storia, dopo la visione ho proposto loro prima di provare a ricordare alcune frasi pronunciate dai protagonisti, poi di scegliere cinque parole ciascuno, che mi sono fatta dettare e ho fedelmente trascritto a computer.

A questo punto, ho avviato Wordart Tagul, e ho inserito il testo composto dalle loro parole dentro il programma, scegliendo con loro alcune caratteristiche ben precise: ed ecco i risultati delle due classi




sabato 20 gennaio 2018

È faticoso, essere maestr* in quinta


È faticoso, essere maestr* in quinta.

Perché per anni hai cercato di seguire i ritmi di ognuno, non preoccupandoti poi così tanto, pensando ogni volta “lo faremo l’anno prossimo”, e ora sai che non ci sarà un anno prossimo. Cioè, ci sarà, ma ognuno per proprio conto, tu da una parte e loro dall’altra. E al massimo v’incontrerete in cortile, improvvisamente timidi, imbarazzati e in cerca di cose divertenti e intelligenti da raccontarvi (no, come va alle medie non conta).

È faticoso, essere maestr* in quinta.

Perché vorresti finalmente vedere i frutti, dopo tanto seminare: e non è che i frutti maturino sempre così facilmente. E se i semi non avessero attecchito? E se tu non avessi innaffiato, concimato, nutrito, sostenuto nel modo giusto? Se avessi dato troppa acqua, troppa luce, troppo concime, troppo sostegno? O troppo poco, che chissà se è meglio o peggio.

È faticoso, essere maestr* in quinta.

Perché hai avuto quasi cinque anni per guardare, ascoltare, leggere, intuire. E comunque ti accorgi che, forse, di qualcuno hai capito poco, o quasi nulla. E anche chi ti sembrava d’aver compreso, a volte sfugge, nella necessità di crescere, staccarsi, andare.

È faticoso, essere maestr* in quinta.

Perché, anche se le tue mani vanno, da sole, verso un viso, o una testa, da carezzare, la mente a volte le ferma, chiedendoti se quel gesto sia ancora gradito. Perché le lacrime dei 10anniquasi11 fanno ancora più male dei 6quasi7. Perché i dolori sono spesso più celati. Perché la strafottenza e il sorriso irridente non sempre riescono a nascondere la paura, la sofferenza, la timidezza, il disagio.

È faticoso, essere maestr* in quinta.

Perché, come coi figli, a volte non vedi l’ora che se ne vadano, mentre, nello stesso istante, vorresti che non se ne andassero mai.

È faticoso, essere maestr* in quinta.

Perché crescono, sudano, scalpitano, fremono. Perché sono piccoli e grandi. Perché non sono né piccoli né grandi. Perché vogliono essere piccoli e grandi. Perché non vogliono essere né piccoli né grandi. Perché sono i più grandi tra i piccoli e i più piccoli tra i grandi. Perché hanno le idee confuse. E tu con loro.

È faticoso, essere maestr* in quinta.

Perché gli ormoni sono potentemente in circolo, il cuore salta i battiti o sfonda la cassa toracica, le gambe si allungano di scatto per fare uno sgambetto pensando sia un buon modo per attirare l’attenzione, le stringhe sono perennemente slacciate, i capelli lunghi un’ora raccolti e l’altra sciolti, quelli corti sempre troppo corti, le unghie rosicchiate o smaltate, le maniche in bocca, le penne pure. Perché bevono, e vanno in bagno, vanno in bagno, vanno in bagno.

A volte, ti chiedi se davvero siano passati 5 anni.

È faticoso, essere maestr* in quinta.

Po ci pensi, e ti accorgi che le cose più belle della tua vita ti sono spesso costate una gran fatica.


mercoledì 10 gennaio 2018

Oh, i compiti!


Cose a cui penso alla sera 
prima di addormentarmi

La sera prima di addormentarmi penso.
Penso a tutta la giornata,
ma soprattutto ai momenti passati felici.

E a un certo punto
tutto si mescola insieme,
tutti i pensieri, tutte le cose.

Fino a quando 
non sento più niente,
niente di niente.

E allora lì capisco
che mi sono addormentata.

Poi dopo dieci secondi
apro gli occhi lentamente
e lì allora è mattina 
e mi sveglio senza ricordare niente.

Ma capisco solo una cosa
che in realtà 
la notte non
è mai lunga
abbastanza.

A., 10 anni e qualche mese




Premessa:

non tutti i compiti sono stati eseguiti allo stesso modo. C’è chi li ha fatti frettolosamente, in modo disordinato o incompleto, con poca attenzione e cura.

La maggior parte ha lavorato in modo adeguato. Alcuni con grandissimo impegno, dedicando testa e cuore ad ogni pagina.

Qualcuno credo si sia proprio divertito: alcuni attivatori sprizzavano energia e originalità da tutti i pori.

Qualcun altro ha lavorato bene per far felice la mamma, il papà e/o la maestra.

Qualcuno ha letto tantissimo. Qualcuno molto poco.

Nell'economia di due classi numerose, ci sta tutto.



Di seguito, alcune pagine tra quelle che mi hanno colpito di più:


Dal bianco candido della neve
al rosa cipria dei visi di tutti i bambini.
Da rosso inglese dei fiocchi
al verde clorofilla degli abeti.
Molti colori per tutti i doni
illuminano il nostro Natale.
Nel cielo blu notte splendono
mille stelle giallo girasole.

C., poco più di 10 anni






Quando ho studiato storia, ho capito che la lingua greca è la mia preferita […]






Molto gettonate le Cose a cui penso la mattina appena sveglio, prima di alzarmi:

"Penso ai sogni che ho fatto,
a quanto sarebbe bello non avere compiti,
ai regali, alla famiglia,
a quanto è bello stare nel letto
e alla fine delle vacanze
e a quanto sono fortunato
ad essere ancora nel pieno delle vacanze."





Sento la sveglia [...]
e d'istinto mi viene da alzarmi
ma poi ci penso e dico:
"A no... sono ancora in vacanza,
posso dormire un altro po'."













Ottimi suggerimenti di bon ton, col Galateo per la cena di Natale:




















E che dire dei matematici, che han calcolato al minuto le ore totali di sonno?













 





venerdì 5 gennaio 2018

Alla ricerca di un equilibrio sempre instabile


Mancano solo due giorni al termine delle vacanze. Per molti insegnanti è difficile, seppur in vacanza, smettere di pensare al proprio lavoro, ai propri ragazzi, a quel che ancora ci sarà da fare, da qui al termine dell’anno scolastico.
Per chi, come noi quest’anno, è in quinta, tutto sembra ancor più complesso: da un lato, un intero quinquennio sta per concludersi, con il suo carico di relazioni, entusiasmo, conoscenze, competenze, fatiche, soddisfazioni, delusioni. Dall’altro, si apre un rinnovato ventaglio di aspettative rispetto ad un nuovo ciclo che inizierà proprio a settembre di quest’anno. 
Ancora una volta, gli insegnanti si troveranno con tutti se stessi ben piantati nel presente, ma con uno sguardo già proiettato nel futuro. E, ancora una volta, il nostro compito sarà cercare in tutti i modi di garantire quell’equilibrio sempre instabile a cui mi pare necessario tendere.
Uno dei principi pedagogico-didattici che da sempre sostiene il mio “fare scuola” si fonda sul tentativo di mettere il bambino al centro del processo educativo; e non l’idea generica di bambino, ma ogni bambino reale che mi trovo di fronte. Ed io, noi, abbiamo sempre di fronte non IL bambino, ma un bambino, una bambina, e poi un altro, un’altra ancora, fino ad arrivare al numero complesso che compone la classe, o le classi, in cui lavoriamo.

Naturalmente, in questa visione è di volta in volta il punto di vista - dell’insegnante, ma anche del bambino stesso, di ogni bambino - a dover cambiare.

Credo sia questo il nodo cruciale, il difficilissimo equilibrio a cui tendere; la precaria e sempre in bilico posizione dell’insegnante, ma soprattutto dei bambini, chiamati ad essere soggetti attivi e protagonisti del proprio processo di apprendimento, ma a cui viene richiesto anche di essere sempre più capaci di decentrarsi e di trovare via via un nuovo centro a seconda di ogni compagno, persona, gruppo, situazione o ambiente con cui entrano in relazione.

Si tratta certamente di un equilibro instabile, di cui ogni volta è necessario trovare e ricalibrare il fulcro, il cosiddetto ago della bilancia. Non sempre ci si riesce, talvolta si assiste a cadute più o meno rovinose. Ma il lavoro dell’insegnante raramente prevede traguardi semplici: la sua bellezza sta nel complesso e articolato cammino percorso insieme.
E allora, avanti tutta, verso un nuovo anno ricco di entusiasmo, sorrisi, speranza...