lunedì 29 ottobre 2018

Le U, i lupi, gli orchi e le streghe


Passare dall’ultima vocale, la U, a ululare, e a raccontar di lupi, è stato facilissimo; complice un albo di grande formato dal titolo Cattivi come noi, di Clotilde Perrin, Franco Cosimo Panini editore, acquistato tempo fa, quando le mie ragazze e i miei ragazzi erano ormai troppo grandi per apprezzarlo (o forse no?).




 


In ogni caso, il libro mi aspettava quieto quieto nel suo scaffale, pronto, con le sue sole tre triple pagine (Ha solo tre pagine! ha esclamato infatti una voce) a catturare bambine e bambini, prima con le ricche sagome apribili di lupo, orco e strega, poi attraverso la lettura dei loro punti di forza e di debolezza, dei cibi preferiti, dei nemici giurati, delle bibliografie in cui è possibile trovarli, infine con la lettura di tre fiabe, ascoltate in un silenzio ricco e denso, con occhi sgranati e fiati sospesi.
E che bello per me leggere ancora una volta ad alta voce Il lupo e i sette capretti, Jack e il fagiolo magico e Aliochka e la Baba Jaga, fiabe che molti non avevano mai sentito, e che hanno ascoltato così attentamente da riprodurne fedelmente i particolari:


 
 (Qui c’è il lavandino distrutto, e lì la coperta a pezzi, mi ha spiegato un bambino, raccontandomi il suo disegno. Ho dovuto rileggere la storia nell’altra classe, per accorgermi che il lupo, nella sua furiosa ricerca dei capretti, distrugge il lavandino e fa a pezzi la coperta. Lui, che aveva ascoltato molto attentamente, lo sapeva ben prima di me: non vale forse come prova di comprensione, questa, ben più di altrettanti test a crocette?).
Così mi chiedo, ancora una volta: quanto raccontano i disegni, prima e più ancora delle frasi scritte “come sei capace”?

Capretti superstiti accompagnati dal numero 1

piante di fagioli talmente magiche, e invasive, da uscire dal margine della pagina e salire davvero fino al cielo, 

orchi dall’aria piratesca



 streghe brutte e cattive



A proposito di fiabe, ho scritto nel saggio A scuola con gli albi:
"Ho l’impressione che da anni la fiaba sia vittima, anche a livello scolastico, di una pericolosa contraddizione: da un lato, in quanto identificata come genere destinato ai più piccoli, e sulla base di ragioni di mercato, è oggetto di ogni tipo di semplificazione e banalizzazione; dall’altro, è considerata sovversiva, se non addirittura pericolosa, a causa del proprio profondo valore simbolico. […]

La didattica dell’italiano alla scuola primaria riserva alla fiaba un ruolo privilegiato, in particolare in terza; da noi, invece, come ho già scritto in precedenza i rapporti fra bambini e fiaba non sono mai stati episodici o limitati a un tempo definito, ma, al contrario, sono una costante. In poche parole, abbiamo letto fiabe ogni volta che un argomento ce lo ha permesso."
Ecco. Ho intenzione di continuare. 


giovedì 25 ottobre 2018

Gli Ughi e la maglia nuova, ovvero Tutti uguali?





Anche Gli Ughi e la maglia nuova, di Oliver Jeffers, zoolibri, ci aiutano a riflettere su uguaglianza e diversità: facile, gli Ughi sono tutti uguali, almeno fino a quando Ruperto decide di ricamarsi una maglia nuova. All’inizio, la diffidenza è davvero tanta, e Ruperto viene considerato quanto meno stravagante; è però sufficiente che il suo amico Gilberto decida di apprezzare il suo esempio, perché in breve tempo, la diversità non sia più un’eccezione, ma diventi regola, tanto da indurre Ruperto a cambiare di nuovo.

Dopo la lettura e la visione online del filmato curato dal Laboratorio di Comunicazione e Narratività dell'Università degli Studi di Trento-Rovereto diretto da Marco Dallari. 


Poi abbiamo riflettuto insieme se davvero anche noi, come gli Ughi, siamo tutti uguali. Per farlo, ho chiesto alle bambine e ai bambini di disegnare al tratto su un foglietto la cosa che più a loro piacesse, o piacesse fare (La cosa più bella della vita, ha esclamato una voce).

Ognuno ha lavorato in silenzio, e in segreto (Possiamo fare le barriere? ha chiesto un’altra voce, intendendo l’uso degli astucci a coprire il proprio lavoro. Ho risposto che le barriere proprio non mi piacciono, a scuola come nella vita.)

Poi, a turno, ognuno ha raccontato cosa avesse scelto di disegnare, e io l’ho scritto, utilizzando le precise parole dette dai bambini e dalle bambine (per questo non abbiamo sostituito fare i Lego con costruire, o pitturare con dipingere).

Ho consegnato loro la fotocopia con le loro parole, e abbiamo incollato i disegni su un foglio A3, che poi ho fotocopiato, riducendolo perché potesse essere piegato e incollato sul quaderno.

Anche questo mi pare sempre un bel modo di documentare un’attività fatta in classe che altrimenti non potrebbe essere condivisa con le famiglie.







Così, insieme alla passione per il calcio o per i cani, possiamo trovare quella per i viaggi in auto quando piove, per il canto degli animali (e non semplicemente degli uccelli), per l’osservazione delle stelle in cielo o per l’esplorazione marina.

Due frasi in particolare hanno scaldato il mio cuore di lettrice ad alta voce: in entrambe le classi, due voci hanno detto che a loro piace quando la maestra legge le storie.

 
Come incomincia:
“Gli Ughi avevano una caratteristica: erano tutti uguali!
Erano tanti, tantissimi…                   
Avevano lo stesso aspetto…avevano gli stessi pensieri…e avevano le stesse passioni.
Finché un giorno, uno di loro –si chiamava Ruperto- ebbe l’idea di ricamarsi una bella maglia nuova.
La indossava dappertutto, e ne era MOOOLTO orgoglioso!
Non tutti, però, erano d’accordo con i suoi gusti…
JEFFERS O., Gli Ughi e la maglia nuova, Zoolibri




martedì 23 ottobre 2018

Igor, o la ricerca di qualcuno che ci somigli

Ci sono temi - attenzioni, mi verrebbe da chiamarle - quotidiani, nella vita di una classe: temi per i quali sviluppare appositi progetti sarebbe svilente, se non addirittura fuorviante.

È il caso, per quanto mi riguarda, della consapevolezza dell'identità, propria e altrui, e del riconoscimento e del rispetto della diversità. Mi sembra sempre talmente naturale che essi emergano nei frangenti più disparati da ritenere inutile dedicare loro luoghi, tempi e risorse specifiche.
Per noi, a scuola, è stato così fin dall’inizio: nel raccontare se stessi, quel che si è e quel che si sa fare, così come l’incompiutezza, la competenza non ancora raggiunta, il non saper fare.
La diversità, per noi, ha avuto anche il volto (i bambini dicono la faccia, che davvero in questo caso fatico a sostituire con muso) di Igor, il sorprendente protagonista dell’albo di Francesca Dafne Vignaga edito da Edizioni Corsare.




Igor si presenta addirittura con una carta d’identità, una data di nascita, il 24 ottobre (domani sarà il suo compleanno), una residenza e un’altezza ben precise, e, per finire, due segni particolari di sicura presa su bambine e bambini: molto peloso e spesso sorridente.

Di sé sa solo il nome.
Sa fare giochi di prestigio con fiori e semi.
Sa fischiare con le foglie di acacia.
Sa arrampicarsi sugli alberi, anche su quelli molto alti.

Igor sa fare, proprio come noi, alcune cose.

A Igor piace osservare cosa fanno gli animali: gli piace, come ad Anna, guardare le formiche cariche di provviste disposte in lunghe file.


Igor da qualche giorno è pensieroso.
Possibile che non abbia mai visto nessuno che gli somigli?
Forse da qualche parte c’è, bisogna solo cercarlo.
Forse è il momento di lasciare la sua casa e partire per un viaggio.





Comincia proprio da qui, da questa ricerca di qualcuno che gli somigli, il lungo viaggio di Igor: a bordo di una barchetta fatta con una scatola di cartone, e per vela una stoffa bianca a pois neri (Sono le mutande! hanno detto alcuni maschi in entrambe le classi), proverà via via a immedesimarsi con famiglie diverse, per trovare, alla fine, la propria identità e la propria realizzazione.

Grande, questo Igor!












Qui la bella recensione di Marina Petruzio per Luuk Magazine


giovedì 18 ottobre 2018

Un orco goloso di O



Tra le più significative opportunità che lavorare con i bambini e le bambine offre, c’è sicuramente la possibilità di riflettere sulla costruzione del linguaggio e del pensiero. Ogni bambino giunge a scuola con il proprio patrimonio lessicale e linguistico, di cui non conosciamo l’origine e il percorso, ma che è compito della scuola favorire e stimolare, anche e soprattutto attraverso la riflessione, personale e condivisa, sui processi.



La lettura di L’orco che mangiava i bambini, di Fausto Gilberti, Corraini, ci ha di nuovo accompagnato nel mondo delle parole, della loro forma, del loro significato.

Nella grande pancia dell’orco, riprodotto sul cartellone (La pancia è come una O – Anche gli occhi) abbiamo inserito tutto ciò che le bambine e i bambini hanno disegnato con il pennarello al tratto: oggetti, animali, persone il cui nome iniziasse con O. E così, insieme agli immancabili ORSO, ORCO, OROLOGIO, si possono trovare ORTOPEDICO (“Sai cosa vuol dire?” “Sì, è quello che fa le vaccinazioni” “Quello è l’ortomedico!” “Orsomedico?!”) ORNITORINCO, OFFESO, OTTO, ORTO, ORLANDO, OLAF…




Come comincia:
C’era una volta un Orco brutto e cattivo. Non si lavava mai e quindi era sporco e puzzolente. Aveva molti difetti e nessun pregio.
Come tutti gli orchi famosi mangiava i bambini.
L’Orco aveva delle preferenze: gli piacevano solo i bambini golosi, golosi di zucchero, caramelle, patatine, bibite gassate, eccetera eccetera.
GILBERTI F., L’Orco che mangiava i bambini, Corraini 2012



Dal capitolo Giochiamo la grammatica, A scuola con gli albi, Topipittori 2018


Così descrive questa nostra attività Maria Polita, studiosa di letteratura per l’infanzia, blogger di Scaffale Basso e responsabile dei laboratori di Scrittura all’Università Cattolica di Brescia e Piacenza, nell’articolo L’insegnamento grammaticale nella scuola primaria attraverso l’albo illustrato, in Italiano LinguaDue,

http://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/viewFile/7581/7354, rivista internazionale di linguistica italiana e educazione linguistica:



[…] A partire da una lettura ad alta voce, la maestra procede inizialmente con una riflessione fonetica, esortando i bambini a trovare parole che incomincino con il medesimo suono. Questa attività permette l’esercizio anche di abilità quali la creazione di insiemi e associazioni linguisticamente corrette. Secondariamente la maestra fa riflettere sul grafema, sempre in associazione con la storia, associandola al disegno, abbattendo la distinzione tra scrittura e disegno. “Chiediamo quindi agli alunni di disegnare l’orco il più possibile simile al protagonista della storia. Poniamo particolare attenzione agli occhi, enormi e accostati: due O con una piccolissima pupilla al centro.”

L’attività del disegno, proposta dall’insegnante, è supportata dall’illustrazione e guida al raggiungimento dell’obiettivo: le immagini in bianco e nero tratteggiano in modo originale la storia e danno la possibilità all’insegnante di proporre agli studenti la riproduzione di un’inusuale illustrazione in bianco e nero, molto affine alla scrittura. La riflessione grammaticale si approfondisce sempre nel legame iconografico, poiché come gli occhi anche la parola orco mostra due “occhi a forma di o”. Con naturalezza questa constatazione diventa occasione per ritornare ad un livello grammaticale: “Riflettiamo su una particolarità della parola ORCO: la vocale O è sia iniziale che finale. Chissà se qualche bambino saprà trovare altre parole simili: ORSO, ORTO, ORRENDO, ORNITORINCO, ORITTEROTOPO…”. In seguito la o diventerà la pancia dell’orco che contiene le diverse parole: ancora una volta il disegno si trasforma da attività marginale a strumento essenziale per la comprensione e la rielaborazione fonetica. Il rinforzo grammaticale diventa, coerentemente con la storia, uno sviluppo narrativo e i bambini sono chiamati a produrre un menù per l’orco e un proprio menù, coinvolgendo quindi anche l’abilità di produzione del testo.

Qui il post di cinque anni fa.


martedì 16 ottobre 2018

Io - Io sono - Io so

Cinque anni fa, avevo cominciato il lavoro su lettura e scrittura in prima con A, P ed E (da qui il nome del blog, APEdario) perché le bambine e i bambini potessero formare, fin da subito, le prime sillabe.

Per questo nuovo ciclo ho pensato invece che sarebbe stato interessante presentare le vocali, per soffermarci in modo particolare sull’unione delle contigue I e O, a formare IO.

Mi pare sempre un nucleo denso di senso, questo: non, naturalmente, nella sua concentrazione egocentrica su se stesso, ma nella dimensione di riflessione sulle proprie caratteristiche e competenze, perché si possa, attraverso questo processo, più facilmente riconoscerle anche negli altri, e riconoscerle come diritti, per sé e per gli altri.

Siamo partiti dagli autoritratti, tutti realizzati con la massima cura, e che sempre mi paiono parlare il linguaggio di chi li ha disegnati, posizionati nello spazio foglio e colorati.











 
Poi abbiamo riflettuto insieme su quanti modi diversi ci siano per completare la frase

IO SONO

scrivendo via via le diverse proposte delle bambine e dei bambini, ragionando sui cambiamenti di genere di nomi e aggettivi e sulla necessità di scrivere solo ciò che davvero corrispondesse al reale stato d’animo (così, IO SONO FELICE suggerito da un compagno, sul quaderno di una bambina è diventato IO SONO COSÌ COSÀ -perché mi manca la mamma, ha aggiunto).





Per finire, una riflessione su ciò che ognuno sa fare. 



A completare il lavoro, la lettura di Tutto da me, di Wondriska, Corraini






In una classe, un bambino ha esclamato: Io so fare tutto.
La riflessione dei prossimi giorni partirà proprio da questa frase.





sabato 13 ottobre 2018

Come Ina, scriviamo



Credo davvero nella necessità che i bambini e le bambine siano protagonisti attivi del proprio apprendimento.
In questi mesi ho molto riflettuto sulle attività di scrittura spontanea proposte dalla mia amica Sandra ai suoi alunni. I suoi post sono diventati stimolo ad un pensiero nuovo, dove le competenze pregresse di ognuno fossero messe al centro dei rispettivi percorsi di apprendimento.
Così, dopo essere diventati lettori, tutti si sono trasformati in scrittori: non solo attraverso la capacità di ricopiare dalla lavagna, ma producendo scrittura in modo autonomo.
“Scrivi come sei capace” è diventato, anche per chi teme di non esserlo, la possibilità di provare, di mettersi in gioco; per l’insegnante, la dimostrazione che esistono, all’interno della stessa classe, livelli diversi di concettualizzazione della lingua scritta, e che è necessario conoscerli tutti per poter costruire percorsi che di tutti tengano conto, perché tutti vengano valorizzati.
Accanto a lunghe sequenze di lettere

possiamo trovare le prime parole – spesso il proprio nome, quello dei compagni, mamma e papà, ma anche i nonni e gli animali










Mi ha fatto molto sorridere incontrare i nani da giardino e Radio Due 

e scoprire che il pensiero bambino già opera importanti similitudini: al posto dei suoni duri di C e G, l’uso dell’H

al posto dei suoni dolci di G, la J.


La formica Ina, protagonista del libro  Ina la formica dell’alfabeto, di Matteo Terzaghi – Marco Zürcher, AER, ci ha accompagnato in questa prima tappa del nostro viaggio.




Ed è stato bello ripetere a gran voce la poesia che conclude il suo albo: poesia che ci ha permesso di operare i primi confronti tra le rime, in un gioco fonologico importante, che ripeteremo spesso, e che è diventata compito a casa, da condividere con un grande.


Che – questo mi sembra importante – non è sempre la mamma, e magari neppure il papà. Con un grande che può essere ogni persona maggiore che il bambino ha vicino a sé.
Il cammino contro gli stereotipi è quotidiano come il pane.