“[…]
Promettimi che non ti mangerai l’uovo” stridette aprendo gli occhi.
“Prometto
che non mi mangerò l’uovo” ripeté Zorba.
“Promettimi
che ne avrai cura finché non sarà nato il piccolo” stridette sollevando il
capo.
“Prometto
che avrò curo dell’uovo finché non sarà nato il piccolo”.
“E
promettimi che gli insegnerai a volare” stridette guardando fisso negli occhi
il gatto.
Allora
Zorba si rese conto che quella sfortunata gabbiana non solo delirava, ma era
completamente pazza.
“Prometto
che gli insegnerò a volare. E ora riposa, io vado in cerca di aiuto” miagolò
Zorba balzando direttamente sul tetto.
Una perfetta e intensa
metafora di ogni rapporto di cura: non mangiare l’altro, prendersene cura,
insegnargli a volare. In altre parole: permettergli di diventare grande, senza
annullarlo col nostro amore, e insegnargli ad andarsene, in autonomia e
libertà. Cos’altro chiedere a un insegnante, a un genitore, a qualsiasi adulto
che si occupi dell’infanzia?
I gabbiani sorvolano la foce dell'Elba, nel mare del Nord. "Banco
di aringhe a sinistra" stride il gabbiano di vedetta e Kengah si tuffa. Ma
quando riemerge, il mare è una distesa di petrolio. A stento spicca il volo,
raggiunge la terra ferma, ma poi stremata precipita su un balcone di Amburgo.
C'è un micio nero di nome Zorba su quel balcone, un grosso gatto cui la
gabbiana morente affida l'uovo che sta per deporre, non prima di aver ottenuto
dal gatto solenni promesse: che lo coverà amorevolmente, che non si mangerà il
piccolo e che, soprattutto, gli insegnerà a volare. E se per mantenere le prime
due promesse sarà sufficiente l'amore materno di Zorba, per la terza ci vorrà
una grande idea e l'aiuto di tutti...
SEPULVEDA L., Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a
volare, Salani