lunedì 13 settembre 2021

Abitare le storie



Li abbiamo lasciati bambine e bambini. Li ritroveremo domani, dopo poco più di tre mesi, ragazze e ragazzi.

Non abbiamo assistito in prima persona a ciò che è avvenuto in questo tempo estivo: uno scatto di crescita da cui eravamo lontani, e che, proprio per questo, si farà notare in tutta la sua evidenza.

Non sarà solo una questione di centimetri: ci saranno volti ed espressioni differenti, sguardi più timidi o, al contrario, sicuri. Ci saranno voci con timbri forse diversi, posture e abitudini acquisite in tempi e luoghi altri da quelli che abitualmente condividiamo. Ci saranno nuove aspettative, desideri, necessità.

Forse saremo cambiati anche noi, o staremo per farlo: ricordo un alunno del ciclo precedente che, a fine quinta, scriveva di un mio cambiamento, negli ultimi anni di scuola. Un cambiamento non gradito.

Mi sono interrogata spesso su quanto fosse realistica – e condivisa – questa sua percezione; su quanto i miei cambiamenti fossero indotti dai loro o, piuttosto, dalla necessità di recuperare proprio gli scatti di crescita che mi ero persa via via, e che mi interrogavano, chiedendomi di essere un’insegnante diversa, come se anch’io dovessi cambiare muta per far spazio a una nuova me, in relazione con loro.

Leggevo, proprio ieri, il post di una libraia che, a proposito di accoglienza, chiedeva agli insegnanti di lasciar stare i libri e lasciar fare ai bambini, perché gli insegnanti valgono più di qualsiasi storia. Io invece ho pensato che le storie valgano altrettanto, e non solo come valore assoluto, ma ancor più per la relazione e il legame che creano con chi le fa proprie o le dona agli altri. Forse le storie sono gli spazi sempre nuovi che abitiamo mentre, insieme, continuiamo a crescere.

Perciò sono qui, in questo tempo piccolo che mi separa dall’incontro con le mie “nuove” ragazze e i miei “nuovi” ragazzi, a riflettere ancora una volta su ciò che sarà, e a confidare in un percorso che costruiremo insieme, dove, ancora una volta, abiteremo le storie ed esse ci abiteranno.

Perché, si sa, non si finisce mai di imparare, di crescere e di cambiare, e farlo insieme è ancora più bello.

 

lunedì 30 agosto 2021

Incontro con l'autrice: Cristina Bellemo

19 aprile 2021, una data da ricordare



Succede che tu riesca a organizzare per le tue classi - finalmente, anche se online - un incontro con l’autrice.
 
Succede che l’autrice sia Cristina Bellemo, a cui ti unisce, oltre che una profonda stima per il lavoro che da anni ci regala occasioni di profonde riflessioni, anche una consonanza, che hai sentito risuonare ogni volta in cui c’è stata l’occasione di incontrarsi, ascoltarla, confrontarsi. 

Succede che bambine e bambini siano davvero molto emozionati per questa occasione: nel corso di questi tre anni insieme abbiamo letto molti suoi libri (Storia piccola ci ha accompagnato durante il primo incontro, a settembre 2018, con i genitori; abbiamo iniziato il 2021 con Pienovuoto, e proseguito con Il soldatino, per leggere, solo pochi giorni fa, Amelia. Tipi è lì, che ci aspetta, e ne troveremo un brano sul libro di testo del prossimo anno, in quarta). 

Succede, però, che a marzo si stia un mese in DAD, o DDI (che, con gli acronimi, pure le maestre si confondono). E così, tutto il lavoro di preparazione delle domande per l’intervista a Cristina lo prepariamo a distanza, ognuno scrivendo nel chiuso della propria cameretta, o al tavolo della cucina, o nel soggiorno dei nonni, e poi leggendo tutte le domande, e scegliendone una ciascuno/a.
 
Succede, ancora, che finalmente il 19 aprile Cristina si colleghi con noi, un’ora con ciascuna classe, e risponda con attenzione, rispetto, cura, a ogni domanda che le viene posta.

Succede, anche, che alla maestra dispiaccia che tutte queste parole (quelle pensate da bambine e bambini per Cristina, e le sue per ciascuno di loro, e per tutti), si perdano, come accade a volte, nella memoria, anche alle esperienze più belle. Così la maestra chiede alle bambine e ai bambini, attraverso un Modulo di Google che ormai sono espertissimi ad usare, di scrivere la domanda che ciascuno, ciascuna, le ha posto, e tutto ciò che si ricordano della risposta. 

Succede che alcune risposte siano molto ricche, complete, dettagliate. Succede, naturalmente, che altre lo siano meno. Così la maestra, in classe, completa con i ricordi condivisi ciascuna risposta dell’intervista (se ce ne fosse bisogno, un’ulteriore, e concreta, dimostrazione di quanto sia più potente, ed efficace, la memoria collettiva rispetto a quella individuale). 

Le interviste sono bellissime, e sono qui. Sono certa che ogni bambina e ogni bambino (più la maestra, e Cristina stessa) le custodiranno a lungo. 
La parola scritta può aiutare anche in questo. 


Intervista a Cristina Bellemo (3^A) 

Mi dai un dono? 
Ti regalo la mia parola preferita: sciabordio. 

Quando scrivi libri, prendi spunto da qualcosa oppure ti vengono in mente? Dipende, a volte le immagino a volte le vedo e prendo spunto. Spesso scrivo di notte perché il giorno è molto rumoroso per le macchine, chi suona il campanello e il telefono, invece la notte è tranquilla e la mia immaginazione può andare con tranquillità nel silenzio. 

Qual è l'ingrediente segreto per tutti i tuoi libri? 
Che domandona. (A questo punto, un compagno suggerisce: “L’amore”). È proprio la parola giusta, io stavo per rispondere: l’amore per la scrittura, ma non è solo quello, è anche l’amore che provo per le altre persone. 

Come trovi l'ispirazione giusta? 
A volte l'ispirazione arriva a caso, all'improvviso. Per esempio, una volta mio marito, tornato da un viaggio, mi ha regalato un quaderno e di colpo mi è venuta un'idea. Questo quaderno mi piace molto perché è molto strano, in particolare nell’apertura, ed è perfetto per scrivere delle poesie sulla notte, perché la copertina è blu notte con dei fiori dorati. 

Scrivi solo o leggi anche? 
Io leggo molto perché da piccola avevo pochi libri, e per lo più brutti, perché le persone a cui non piacevano li davano a noi. Poi, quando io e mio fratello abbiamo iniziato a studiare, abbiamo riempito la casa di libri. Ora passo più tempo a leggere che a scrivere. Mio marito dice che, quando prendo in mano un libro, sembra che lo sfiori, senza toccarlo. 

Qual è il libro che ti è piaciuto di più scrivere? 
Non ho un libro preferito. Mi piacciono tutti i libri che ho scritto. Se proprio devo sceglierne uno, direi Io e il falco, perché quando l’ho scritto mi è sembrato di vivere la stessa avventura del bambino. 




Hai sempre voluto fare la scrittrice? 
No. Non me lo sarei mai aspettata perché quando ero piccola avevo pochi libri ed erano brutti. Ma quando ho cominciato a studiare mi sono appassionata. E dopo sono diventata una giornalista e infine una scrittrice. 

Come ti sei sentita la prima volta che hai fatto la scrittrice? 
Ero felice e mi sono messa a saltellare per tutta la casa, solo che adesso sono meno atletica, però provo ancora lo stesso sentimento. 

Qual è il prossimo libro? Bella domanda (anche mia figlia si chiama Cecilia, quest'anno compie vent'anni…). Il mio ultimo libro, E la regina disse, sta per essere pubblicato dalla casa editrice Zoolibri, però ne sto scrivendo molti altri. Se ti facessi vedere la mia scrivania, ce ne sarebbero tantissimi, tra i quali uno che si intitola Quattro versi, poesie composte solo da quattro versi, quattro righe (ce l’ha fatto vedere, aveva la copertina con un soffione). 

Quanto tempo ci metti ad inventare un libro? 
Alcune volte ci metto molto tempo, anche anni, e altre volte poco tempo. 

Sei orgogliosa di quante persone leggono i tuoi libri? 
Più che orgogliosa sono grata, perché ringrazio le persone che hanno letto i miei libri. A volte mi dicono che nei miei libri hanno trovato un pezzo di sé stessi e a me fa tanto piacere, perché vuol dire che mi assomigliano. Sono molto orgogliosa di quante persone leggono e si divertono con i miei libri. 

Avrai conosciuto molte persone essendo una scrittrice molto famosa… 
Sì, ho conosciuto molte persone; oltretutto, essendo molto curiosa, mi piace conoscere nuove persone, soprattutto i bambini, perché mi danno molta ispirazione per i miei libri. 

Cosa ti ha ispirata a scrivere dei libri? 
I miei libri mi vengono in mente da qualche oggetto o persona. Mio marito l'altro giorno mi ha regalato un quadernino e da lì mi è venuta in mente una storia. Ad esempio, il libro Tipi è ispirato dai miei vicini. A 37 anni ho scritto il mio primo libro ispirato a mio figlio, dal titolo Il disegnatore di lune, perché lui le disegnava dappertutto: sui muri, sulle coperte, sui libri di scuola. 




I tuoi libri sono realistici.
Anche in quelli realistici, o ispirati a cose reali, c’è sempre un po’ di fantasia. E la fantasia mi fa pensare a Gianni Rodari, che aveva molta fantasia (la Fantastica). Il signor Pieno e il signor Vuoto possono essere persone reali, ma nei libri c’è una parte di realtà e una di fantasia. Per esempio, ne Il soldatino mi sono ispirata a me stessa perché da piccola mi sentivo obbligata dalle persone a rispettare le regole.




Come fai a inventare le storie? 
Io sono molto curiosa ed è quello che mi ispira. 

Come ci si sente a scrivere un libro che tutto il mondo può leggere? 
È una sensazione strana, perché una volta che il libro è stato pubblicato, non puoi più cambiare le parole, non puoi più cancellarle e non sai se può piacere ai lettori. Quindi sei sempre un po' indecisa. Dopo un po’ di tempo, però, mi calmo, e penso che sia giusto. 

Cosa hai provato a vedere il tuo libro pubblicato? 
Può succedere che pubblico un mio libro e mi viene il dubbio: forse ho sbagliato a scrivere o qualcuno nota un errore e tu non puoi più correggere il libro pubblicato, e così ti viene l'ansia e inizi a preoccuparti. Magari qualcuno ti dice: “Non mi piace” “È troppo lungo” o “È troppo corto”. 

Perché scrivi libri? 
Mi piace molto scrivere i libri e che tutti li leggano. 

Da quanto fa la scrittrice? 
Ho scritto il mio primo libro nel 2008, Parole di Natale




Quanti libri hai scritto nella tua carriera? 
Ho scritto 27/28 libri, molti tradotti in altre lingue. 

Hai scritto dei libri sullo spinosaurus aegiptyqus di Jurassic Park 3? 
No, per ora, ma da piccolo mio figlio mi chiedeva se potevo farlo. Perciò non ne ho già scritto uno, ma magari in futuro sì. 

I tuoi libri sono bellissimi perché mi piacciono. Grazie mille, sono felice, sono onorata. 


Intervista a Cristina Bellemo (3^B) 

Quanti libri fantastici hai fatto? E quanti realistici? 
Io ho fatto almeno due libri fantastici e tutti gli altri sono realistici. 

Perché hai scelto di fare la scrittrice e non la maestra? 
In realtà ho fatto la maestra, la giornalista e la scrittrice. Dopo un po' di anni passati a insegnare, ho iniziato a scrivere articoli e a fare interviste per i giornali. Poi ho iniziato a scrivere libri per bambini e romanzi. Ho capito che quello che mi appassiona di più è scrivere. Mi piacerebbe anche essere capace di illustrare i miei libri. 

Ti piace leggere? 
Si, mi piace molto. Tutti i libri che ho sulla sua libreria li ho letti. Anche quando finisco di scrivere un mio libro, lo rileggo decine di volte. Ogni volta che lo rileggo, aggiungo qualche particolare. Dedico più tempo a leggere che a scrivere. 

Quanti libri hai scritto? 
Faccio fatica a rispondere, credo di averne scritti 26,27 o 28. Molti di questi libri sono stati tradotti in altre lingue. 

Ti sei mai descritta?
Sì, mi sono descritta in alcuni miei libri, tipo Il soldatino, perché nell’infanzia ero sempre agli ordini dei miei genitori, così ero brava, come il soldatino che per essere bravo era sempre agli ordini del generale, anche se non voleva. Mi sono descritta anche nel libro Due ali, come se da un’aquila cadesse una piuma lenta lenta come me, fragile come me. 




Qual è il tuo animale preferito? 
La tartaruga, perché è lenta come sono io, e faccio le cose con molta calma. 

Hai mai scritto un manga? 
Io non ho mai scritto un manga, ma mio figlio sa come si fanno e ogni estate va a fare un corso. Mi piacciono molto e guardo gli anime con lui. Mi piacerebbe farli, ma non so se ne sarei capace. 

Qual è il tuo libro preferito tra i tuoi? 
È difficile, perché i libri sono una cosa molto importante; forse il mio preferito è Io e il falco, perché è stato per me come entrare nel libro e provare le emozioni dei protagonisti. 

Qual è il tuo libro che ha avuto più successo? 
25 storie di Natale, che è stato ristampato quattro volte e adesso è finito. 

Qual è il tuo colore preferito? 
Il mio colore preferito è l'azzurro perché mi ricorda il cielo. Prima mi piaceva l’arancione. 

Com'è nata l'idea di scrivere Pienovuoto
L'idea di scrivere Pienovuoto è nata prendendo spunto da altri libri sui contrari scritti da me. Per esempio, il libro che racconta di uno che per parlare piano doveva urlare e un altro per urlare doveva parlare piano. 




Ti piace leggere i tuoi libri? 
Sì, mi piace leggere i miei libri perché quando li scrivo dopo li rileggo decine e decine di volte per correggere gli errori del testo. 

Ma tu da piccola sognavi già di fare la scrittrice? 
No, non sognavo di fare la scrittrice perché in casa mia c'erano pochi libri da leggere, e anche brutti, perché le persone ci davano quelli che venivano scartati. Quando io e mio fratello siamo andati a scuola, abbiamo studiato tantissimo e comprato tanti libri, non solo per la scuola, ma anche che ci piacevano. Meno male che dopo ne ho scritti tanti io. 

Cosa ti ha ispirato a fare i libri? 
Tutto mi ispira a scrivere i libri, dalle cose belle alle cose brutte, le persone che osservo, gli animali. Io osservo molte cose e particolari, ad esempio la pelle, come sono vestite le persone, come parlano, perché sono curiosa. Tutto quello che vedo me lo conservo nella mente. 

Da quanto fai la scrittrice? 
Ho iniziato a 25 anni come giornalista e poi ho fatto la scrittrice. 

Perché hai scelto di scrivere e non disegnare? 
Il tempo che gli illustratori dedicano a disegnare io lo dedico alla scrittura. 

Ma come ti vengono queste idee? 
Queste idee mi vengono guardando la gente e la natura: sono una buona osservatrice.

mercoledì 28 aprile 2021

A PIÙ VOCI: TARDIVE SCOPERTE E AVVENTURE DI UN MAESTRO RILUTTANTE.

A PIÙ VOCI: TARDIVE SCOPERTE E AVVENTURE DI UN MAESTRO RILUTTANTE (di Michele Longo) Sono sempre stato convinto che i libri di testo siano uno strumento indispensabile, ma non li ho mai amati. Mi parevano tutti molto simili e irrimediabilmente brutti. Al momento dell’adozione mi tenevo fuori dalla disputa, pronto a intervenire solo per scongiurare la scelta peggiore. L’anno scorso, nella stanchissima fine d’anno a distanza, ho sorpreso i colleghi battendomi come un forsennato per A più voci di Antonella Capetti e Marta Vitali edito da Pearson: un testo nuovo, di cui nessuno aveva sentito parlare, di una casa editrice non compresa nel paniere del rappresentante di fiducia della scuola, che non si poteva nemmeno sfogliare, stanti le limitazioni sanitarie. L’ho spuntata. A dire la verità, all’epoca non conoscevo davvero il libro, perché la mia copia cartacea era in viaggio lungo un complicato itinerario postale, e tardava ad arrivare. Conoscevo però Antonella, in persona libri e blog: la sua curiosità e libertà di pensiero, l’onestà intellettuale che riserva anche alle più piccole cose, il suo sguardo sulla scuola e sui bambini. Qualcosa sapevo anche del travaglio del libro. Avevo conosciuto Marta Vitali, in una buffa e stimolante telefonata tra timidi. Insomma “A più voci” è arrivato su questo divano con un gran carico di aspettative. Abbiamo passato insieme un bel pomeriggio: sfogliavo, compulsavo gli indici dei volumi, leggevo brani di brani, saltavo su, dicevo ad alta voce senza verificare che ci fosse qualcuno ad ascoltarmi: “Ma sai che è veramente bellissimo il libro della Capetti?”, tornavo a sedermi, sfogliavo, ecc. UN ANNO CON A PIÙ VOCI È passato un anno, intanto, la quarta. Un anno strano, difficile, faticoso - lo sappiamo tutti. In questi mesi sapere di avere sempre a portata di mano “A più voci” mi ha dato un senso di conforto che non sono sicuro di saper spiegare, ma certo non avevo mai provato grazie a un libro di testo. Comunque andasse la giornata o la settimana, con qualcuno in quarantena o tutti in DAD, con troppa energia spesa in cose di scuola senza bambini, c’era qualcosa di bello e intelligente da fare insieme, ad apertura di pagina. A più voci si distingue programmaticamente dai concorrenti a me noti per la qualità letteraria dei brani, per il rimando organico e costante ai libri “veri”, dai classici ai migliori autori contemporanei, per la costruzione del volume Temi intorno a grandi domande che sono proprio quelle che girano nella mente dei bambini tra i 9 e i 10 anni, e per un autentico dono: il volumetto di poesia curato da Silvia Vecchini, e, per la grafica, da Sualzo. Un libro nel libro bellissimo anche da vedere: lusso sfrenato, nel mondo dell’editoria scolastica. Quando abbiamo aperto Temi I bambini hanno trovato da soli, immediatamente, i collegamenti con i libri che conoscevano: “C’è Matita HB!” “C’è pure Il dito magico di Roald Dahl!” “C’è la copertina dei libri!”. Le brevi sezioni Consigliati per voi che punteggiano il volume sono, a mio parere, un’idea straordinaria nella sua semplicità. A più voci è un libro di testo che parla con i libri non scolastici: quelli che qualcuno ha letto, che si possono trovare in biblioteca e in libreria, che abbiamo nella bibliotechina di classe. Quelli belli. Quelli che non conosciamo ma ci viene voglia di scoprire perché, se Antonella Capetti e Marta Vitali li hanno scelti per noi, c’è da fidarsi. E la fiducia, per me, che sono il direttore e il componente unico dell’ufficio acquisti della bibliotechina di classe, non si è minimamente incrinata anche quando un paio di libri consigliati non mi sono piaciuti. Un particolare che mi sembra particolarmente significativo sono le riproduzioni delle copertine. È un rimando all’aspetto grafico e alla realtà materiale dei libri che può semplicemente aiutare a ricordarli e riconoscerli in un altro contesto, ma per me insegnante è anche un’ulteriore dimostrazione della credibilità delle autrici: metterci le copertine è un po’ come metterci la faccia. Queste mie parole, il quaderno di poesia, ha acceso subito una conversazione molto intensa. Scrive Silvia Vecchini, in apertura, con parole di poeta: “Che cos’è la felicità?” E la tristezza? Quando ci facciamo più attenti (è questa la disposizione che la poesia richiede), comprendiamo che sono terre collegate fra loro e che non si finisce mai di scoprirle”. “Perché Silvia Vecchini ci dice che il territorio della tristezza e quello della felicità sono collegati?” Ho chiesto. “Io magari sono felice perché mangio il mio gelato preferito, ma poi mi cade sul marciapiede e divento triste” “Oppure quando un adulto ti promette qualcosa e sei felice ma poi non mantiene la promessa; allora è un momento triste.” “Si può passare dalla tristezza alla felicità in un momento”. A questo punto ho cercato di spostare il focus mini-bipolare e far emergere l’idea che la felicità senza la tristezza non sarebbe pensabile, ma, a ricordarmi che orientare una discussione in classe verso un’idea già pronta è una sciocchezza, è intervenuto Huckelberry M., senza aspettare il turno: “Quando sono triste i miei fratelli [maggiori di parecchi anni] cercano di farmi ridere, e poi ci riescono sempre. Ma io non voglio ridere, voglio tenermi la tristezza. Allora vado a nascondermi in un angolo”. Si è scoperto che non è l’unico a fare così. Mi è sembrato bellissimo: ho immaginato che nessuno di loro ne avesse parlato, prima di allora. In questa quarta abbiamo lavorato in classe con il libro di lettura molto più di quanto fossi abituato a fare. Ne sono contento. In passato, per evitare la noia e il dispetto che mi causavano testi banali nel contenuto e scadenti nella scrittura, tendevo a dare le letture come compito a casa, mancando spesso a un lavoro importante: leggere insieme. A più voci mi ha dato gli spunti e la voglia per farlo con regolarità. Le coppie di opposti che scandiscono le diverse sezioni di Temi, come “triste/felice”, “Paura/coraggio” sono potenti stimoli alla discussione. La qualità dei brani di entrambi i volumi di lettura ci ha consentito di lavorare sul lessico o sul livello di comprensione inferenziale (punto di vista maestro), e insieme di confrontare esperienze, desideri, emozioni (punto di vista bambini). Abbiamo letto insieme, e parlato molto, con A più voci tra le mani. So che il libro di quinta è già pronto, da qualche parte, ad aspettarci. Sono contento.

sabato 10 aprile 2021

Dei foglietti, e delle verifiche

Ieri, in classe, c’è stato un momento in cui ho pensato di aver perso “i foglietti”.

“Ma Anto!” si è levato un coro. Le mie bambine e i miei bambini mi conoscono bene, e sanno che a volte mi capita di scordare dove ho messo quella o quell’altra cosa tanto importante.

Già, i foglietti. (Poi, fortunatamente, li ho ritrovati).

Ma cosa sono? E perché sono così importanti?

I foglietti sono il tentativo di dar voce a tutte e a tutti, di permettere a ognun* di dar forma al proprio pensiero, e soprattutto di evitare che ci sia chi si nasconde dietro il “già detto” dei compagni.

In molte situazioni in cui chiedo una riflessione, un suggerimento, una risposta, chiedo a ciascuna e a ciascuno di scrivere: altrimenti la selva delle mani alzate (spesso, le stesse) impedirebbe a chi ha bisogno di più tempo - o, semplicemente, teme maggiormente di esporsi - di contribuire con i propri pensieri all’arricchimento comune.

Invece i foglietti sono quieti. Non generano grosse ansie. Sono semplici fogli bianchi divisi in quattro. Ci si può scrivere a penna, a matita o a pennarello. Si può scrivere tutto quello che viene in mente. Si può cancellare, anche con qualche scarabocchio, si può riscrivere. E lo si può fare senza il timore della valutazione.

A proposito di valutazione: questa volta i foglietti servivano proprio a questo. A chiedere a bambine e bambini dei suggerimenti su come strutturare la prossima prova di verifica sui verbi.

Così, questa è l’ennesima occasione in cui sono davvero curiosa di leggerli, uno a uno, e di ricopiare quel che vi troverò scritto, e di rileggerlo, lunedì, in classe, per poi scegliere, insieme a loro, cosa fare nei giorni che seguiranno.

Il cammino è tutto da costruire, insomma. Ma non saprei fare altrimenti.




mercoledì 3 febbraio 2021

Qui dentro, ovvero Cosa c'è nella nostra mente?


Da settimane riflettiamo e lavoriamo in classe sul cervello, su cosa sappiamo al riguardo, su cosa può fare, su ciò che contribuisce o meno alla sua salute. 



Nei giorni scorsi, in ciascuna classe, ho chiesto di scrivere per tre minuti ciò che fa bene e, di seguito, ciò che fa male al cervello. Poiché non avremmo potuto scrivere tutto ciò che era stato pensato da ciascuno, ho chiesto ad ognuno, per due volte, di scegliere e leggere ad alta voce una riflessione che aveva scritto, con la raccomandazione di non ripetere ciò che era già stato espresso dai compagni. Ho scritto ogni singola parola dettata da bambini e bambine, e nei giorni successivi abbiamo impostato un testo collettivo, in cui riportare ciò che la maggior parte di noi condividesse circa i pensieri di ciascuno. Per far questo, abbiamo votato, per alzata di mano, ogni singola voce, e abbiamo scritto solo ciò che veniva di volta in volta approvato dalla maggior parte di bambine e bambini.

Il passo successivo? Verificare la fondatezza di alcune ipotesi.

 

Questa mattina abbiamo riflettuto insieme su ciò che fa bene o male al cervello.

La maggior parte di noi pensa che al cervello faccia bene: passeggiare, riflettere, non avere brutti vizi, l’acqua, imparare, avere un po’ di zuccheri, vivere, la logica, mangiare (soprattutto cibi sani), lo sport, liberarsi dei brutti pensieri, sbagliare, l’intelligenza, capire, pensare, dormire, respirare, abbracciare le persone a cui vuoi bene, la poesia, prendere l’aria fresca, studiare, coccolare i propri sogni, apprezzare le persone per come sono, l’amicizia, la compagnia, memorizzare, la felicità, la strategia, disegnare, rilassarsi, immaginare, osservare, muoversi, la scuola, calcolare, immagazzinare tutte le cose belle e importanti, ridere, i profumi di cose che fanno bene…

La maggior parte di noi pensa che al cervello faccia male: non pensare, mangiare troppo zucchero, pensare cose sbagliate nei confronti degli altri, non bere acqua, i pugni, la cattiveria, i pensieri bruttissimi, i videogiochi, soprattutto quelli violenti, guardare troppo il telefono e il tablet, l’alcol, il fumo, non fare amicizia, morire, rimuginare, ridere degli altri, non andare a scuola, rompere le cose di proposito, mangiare cibi non sani, litigare, il mal di testa, le parolacce, pensare che certe persone non abbiano dei diritti, non mangiare, perdere molto sangue, non studiare, dire bugie, avere dei tic, guardare la televisione per troppo tempo, non aiutare chi ne ha bisogno, le cose brutte intorno a noi, la gelosia… (Classe 3^A)

 

Ieri mattina abbiamo riflettuto insieme su ciò che fa bene o male al cervello.

La maggior parte di noi pensa che al cervello faccia bene: dormire, amiche e amici, studiare, l’affetto, la mamma, la scuola, lo sport, imparare, i compiti, le maestre, immaginare, pensare, la felicità, l’ossigeno, la pizza, i pensieri positivi, leggere, la natura, la famiglia, rilassarsi, la musica, i pensieri belli, il passato (non di verdura), i cugini, la salute, calcolare, il presente, gli animali, i libri, i fratelli e le sorelle, respirare, i film, la libertà, gli hamburger, le informazioni nuove, ridere…

La maggior parte di noi pensa che al cervello faccia bene: essere senza amici, non respirare, il morte, il veleno, il Covid19, i videogiochi, soprattutto quelli violenti, fumare, pensare male degli altri, lo stress, l’inquinamento, l’odio, le prese in giro, non stare nella natura, battere la testa, il razzismo, la cattiveria, stare lontano dalle persone che ami, pensare agli amici che non ti vogliono più, disubbidire, non avere ossigeno, le persone negative, la solitudine, internet se usato nel modo sbagliato…(Classe 3^B)