giovedì 18 luglio 2013

Z come Zitti



In una città molto rumorosa, dove i giorni trascorrono sempre uguali, ruvidi come carta vetrata e sotto un cielo quasi sempre piovoso, apre un negozio dove si trova riparo dal maltempo e da qualsiasi tempesta dell’umore: la pasticceria Zitti.
Il signor Zitti ha un ingrediente speciale per i suoi dolci. Per questo sono così buoni. Non si tratta di uno zucchero esotico e nemmeno di un cacao sconosciuto o di una cannella d’importazione…



Come incomincia:

“C’era una volta…
…una città molto rumorosa, dove le macchine sfrecciavano per strada con i loro motori rombanti e la gente era sempre indaffarata.
Una città che, in fondo, era come tutte le altre, dove le persone consumavano milioni di parole. In famiglia, sul lavoro, al mercato: ognuno parlava a più non posso e qualcuno, persino, urlava.
Ma, nonostante la gran quantità di parole di cui disponeva, la gente raramente riusciva a capirsi…

…perché in una parola era nascosta sempre un’altra parola e non era per niente facile scoprirle tutte.”


BRUNO – GARLASCHELLI, La pasticceria Zitti, La Margherita Edizioni



In un mondo pieno di parole, suoni e rumori, il silenzio diventa l’ingrediente segreto, perfetto per rendere unici e inimitabili i prodotti della famosa pasticceria Zitti.
Ma è davvero, sempre così?
Per chi è abituato a una vita frenetica e rumorosa il silenzio si idealizza in un’oasi irraggiungibile, sinonimo di pace, tranquillità, riflessione…
A volte però ho la sensazione (forse da insegnante) che il silenzio richiesto ai bambini sia solo un’esigenza adulta di tranquillità, di fuga dalle loro domande, talvolta impertinenti (nel senso più pieno e letterale della parola) e spesso ineluttabili.
Quel “Silenzio!” o peggio “Zitti!” invocato spesso in classe rischia di rivelarsi un modo sbrigativo di risolvere la questione: decido io, l’adulto, il maestro, quando è il momento di parlare o di tacere, e soprattutto scelgo io quali sono le domande (o le risposte, o le considerazioni) giuste, opportune, logiche, sensate, chiudendo fuori dalla porta tutto ciò che sfugge ai rigidi schemi mentali che “costringono” il pensiero adulto.
Ho spesso la sensazione che siamo prigionieri di due opposte dimensioni: da un lato, spazi e tempi pieni, colmi, tracimanti di parole. Dall’altro, silenzi che nascondono l’incapacità di comunicare, densi di parole non dette, di frustrazioni irrisolte, di zone off limits, per gli altri come per noi stessi.
A volte mi sembra manchi la dimensione naturale: quella delle parole dette e pensate, talvolta sussurrate, in equilibrio con pensieri lasciati liberi di crescere dentro di noi e, se lo desideriamo, condivisi con chi ci vive accanto.

Forse è proprio questo che dobbiamo ai bambini…

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