Il taccuino di X mi interroga, e mi chiama in causa.
“Faccio fatica a controllarmi
quando mi dicono di scrivere di più, ma se nella mia testa ho solo quello, cosa
posso farci?”
Quel “mi dicono” in
realtà è una terza persona singolare, e ha un soggetto preciso, benché
sottinteso. Quel soggetto è lei, e
sono io.
Sono io che le chiedo, quasi ogni volta, prima semplicemente a
voce, da qualche tempo anche scrivendole, di mettere sulla carta tutto quel che
pensa, o sente, perché ci tengo davvero a conoscerlo. Sono io che insisto,
perché intravvedo, dietro alle altre sue competenze, anche una ricchezza che
lei ancora non sa, o non vuole svelare.
Anche Y scrive:
“Non riesco a controllarmi quando
sono arrabbiato, a scuola quando mi arrabbio inizio a fare i commenti per fare arrabbiare
la maestra.”
È vero: Y spesso mi provoca con i suoi continui commenti.
Interviene di frequente senza alzare la mano, nonostante continui a ricordargli
che sono in 28, e se tutti facessero come lui sarebbe davvero il caos. Lo fa di
proposito. Non lo dico io. Lo dice quel per
che ha usato, credo in modo assolutamente consapevole. Lo fa di proposito,
anche se riconosce da parte sua una mancanza di controllo.
E anche qui, mi chiedo, perché mi fa arrabbiare, se so che è
solo, da parte sua, una richiesta di attenzione, di ascolto? Un modo per dirmi “Ci sono, dammi tempo, dammi spazio”?
Ancora una volta, è la letteratura a permettere alle
ragazze e ai ragazzi di usare la scrittura in modo personale, autentico,
critico, nei confronti di se stessi e degli altri.
Questa volta, però, è un
brano da un libro per grandi, uno tra quelli che ho letto durante le vacanze e che
scelgo di leggere loro, ad alta voce, per riconoscere insieme a loro che a volte è proprio difficile, se non impossibile, mantenere
il controllo.
“È ancora una bambina difficile?”
chiedevano i parenti con aria diffidente. Mezz’ora in mia compagnia e avevano
la risposta.
“Non la provocate” raccomandavano
i miei genitori alle mie sorelle, e a me dicevano: “Devi imparare a
controllarti”.
Ci provavo. Ricordo di averci
provato. Ricordo di aver pensato che non dovevo innervosirmi, non dovevo
perdere la calma, dovevo soprattutto mantenere il controllo. Mi guardavo allo
specchio e atteggiavo il viso a un sorriso pacato ripetendo la parola docile tra me e me. Dovevo averla letta in
un libro. Era così che volevo essere, che sapevo di dover essere. Era così che
erano i bravi bambini, docili. Poi, però, mi dicevano di mettermi un certo
maglione di un oltraggioso color senape, con il collo che pizzicava e mi faceva
prudere la pelle in modo insopportabile, e per cena c’erano di nuovo patate
lesse, quanto odiavo l’esterno farinoso e l’interno duro e pieno di amido. Un
bicchiere di latte mi aspettava al mio posto ed ero terrorizzata all’idea di
berlo, con quella consistenza viscida e sinistra che mi foderava l’esofago, le
spirali di schiuma giallastra in superficie, le bollicine perlacee sul bordo.
Mentre pensavo a tutte queste cose, magari succedeva un fatto trascurabile,
innocuo – un commento o uno sguardo di mia sorella, un piede che urtava il mio
mentre cercavo di leggere, una pagina di compiti di matematica che sembrava
infinita, incomprensibile e soporifera – e scattavo. Sentivo esplodere qualcosa
nel petto, mi affluiva un gran calore alla testa, strillavo all’improvviso,
forse pestavo i piedi. Controllo perso. Altro che docile.
Maggie O’Farrell, Io sono,
io sono, io sono, Guanda
“Io
non riesco a controllarmi quando cresco, perché sento che il mio carattere
cambia e divento più cattiva”
“Non
riesco a controllarmi quando mi arrabbia, non si nota ma se mi arrabbio
spaccherei il banco”
Com'è difficile, a volte, l'infanzia. Com'è faticosa, per
alcuni, con le richieste adulte, a volte incomprensibili, spesso impossibili.
Mi chiedo, ancora una volta, perché io sia così attratta da
questo periodo della vita. Non può essere solo per il lavoro che faccio.
Perché, dei libri che leggo, spesso mi rimane impresso ciò che
all'infanzia appartiene, e pertiene, ciò di cui le siamo debitori, o creditori?
Come sempre, sono ferma alle domande. Le risposte, chissà se
arriveranno.
Una cosa, però, penso di saperla: la scrittura, spesso, è la cura.
Una cosa, però, penso di saperla: la scrittura, spesso, è la cura.
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