domenica 27 ottobre 2019

Che cos'è un amico?


C’è almeno un motivo per cui a tutte le bambine e a tutti i bambini piace venire a scuola: gli amici.

Così ho scelto un libro che non avevo mai letto in classe, neppure nel ciclo precedente, Che cos’è un amico?, di Chiara Cariminati e Pia Valentinis, Rrose Selavy.




Un testo che si rivolge direttamente ai più piccoli, e lo fa facendo scattare in loro un immediato processo di identificazione con il pulcino neonato (e quanti genitori somigliano alla gallina, che a domanda risponde sbrigativamente: “Un amico è un amico”? D’altra parte, come scrive A., la gallina ha un’urgenza).




Il pulcino, quindi, chiede a molti animali che popolano la fattoria e i territori limitrofi, e ognuno gli regala l’oggetto della propria similitudine: una conchiglia vuota, un mucchio di terra morbida, un cespuglio di cerfoglio, un gomitolo di lana, una pozza d’acqua limpida, un sasso di sale, una piuma.

Purtroppo, nessuno di questi oggetti si rivela un buon amico con cui giocare. Sarà solo dall’incontro con un piccolo anatroccolo, anch’esso appena venuto al mondo, che gli oggetti ritroveranno il senso dato loro da ogni animale, tanto da far pensare al pulcino, che prima non era sicuro di aver capito bene, che in fondo avessero tutti ragione.

Una lingua magnifica, quella della Carminati, che scrive poesia anche nella prosa, che permette anche ai più piccoli di esplorare le figure poetiche creandone di proprie:






 Un amico è come un fiore perché nasce come noi e poi muore come noi



Un amico è come un frutto sull’albero perché sta crescendo



Gli amici sono dei fuochi d’artificio scoppiettanti di gioia che illuminano il buio



E permette alla maestra di unirle, e di dare forma a quella che è una nuova poesia collettiva delle due classi:



Un amico è come un fiore

da innaffiare così cresce meglio.

Ha bisogno di cure

perché nasce, cresce e poi muore,

ti sta sempre accanto e ti fa compagnia.



Un amico è come un ciuffo d’erba

che ti accarezza la faccia.

Un amico è come un frutto sull’albero

perché sta crescendo.

Un amico è come una pesca

perché è dolce.



Un amico è come una foglia

che cade dal cielo

e ti accarezza.

Un amico è un albero che ti abbraccia.

Un amico è un sole che ti riscalda.



Un amico è come lo zucchero filato

molto dolce e ti avvolge

 in un cuore di zucchero.



Gli amici sono fuochi d’artificio

scoppiettanti di gioia

illuminano il buio.



Un amico è un tesoro prezioso.



E poi c’è la prova di ascolto, e la lettura animata a interpretare il personaggio preferito, il disegno, l’idea di una bambina di mettere in scena il testo per le altre classi.

Chissà…



mercoledì 16 ottobre 2019

Prima di tutto, figli


 
Antonio è tante cose, ma, prima di tutto, è figlio.

Così, da quando Antonio è uscito, desideravo coinvolgere i genitori nel racconto dei propri figli, dare loro la possibilità di mostrarceli attraverso uno sguardo altro dal nostro: lo sguardo di chi per primi li ha pensati, voluti, amati.

Avevo però una preoccupazione, che riguardava in particolare le famiglie provenienti da altri Paesi: quanto sarebbe costato loro esprimere in una lingua diversa da quella materna tutto ciò che avrebbero desiderato raccontare dei propri figli?

Forse la soluzione è stata, semplicemente, il tempo dell’attesa: l’attesa che i loro figli padroneggiassero la lingua italiana e la scrittura, e in alcuni casi potessero farsi tramite tra loro e la scuola. Quante volte è già successo?




Non una bambina, non un bambino è arrivato a scuola senza il compito svolto; tutti si sono alzati e, a turno, hanno letto le parole che mamma, papà o entrambi avevano pensato e scritto per loro. E mentre leggevano, ai compagni e ai maestri, annuivano, sorridevano e ridevano; talvolta, addirittura, dissentivano.

Hanno avuto la possibilità, ancora una volta, di parlare di sé; ma se prima l’avevano fatto in prima persona, scrivendo uno tra i primi testi su traccia, in questo caso hanno letteralmente dato voce ai loro genitori.








mercoledì 9 ottobre 2019

Uno come Antonio, ma anche Uno/Una come...




Uno come Antonio, di Susanna Mattiangeli e Maria Chiara Di Giorgio, Il castoro, è uno di quei libri che ho letto tantissimo – oserei dire sempre – negli ultimi mesi, nelle occasioni di incontro con i colleghi, gli studenti di Scienze della Formazione, gli appassionati di albi illustrati: chi c’era lo sa.

Lo amo tanto, da tempo; tanto da averne scritto, a poche settimane dall’uscita, proprio qui, sul blog. È stato, credo, l’ultimo Mercoledì al cubo con le Briciole di Passpartu e Maria Polita, di Scaffale Basso. E forse non avremmo potuto concludere meglio quell’avventura insieme.

Mi accorgo, nella lettura agli adulti, di leggerlo con un trasporto particolare, soprattutto nella sua pagina per me più impegnativa:


Però basta voltare pagina

ed ecco Antonio che ascolta la lezione.

A scuola è un alunno e deve stare attento

deve stare attento e più ci pensa e meno sta attento.

Se si distrae troppo diventa un viaggiatore dello spazio

che vede dall’alto la sua città, la sua scuola

la sua classe e anche se stesso,

un piccolo terrestre che viene sgridato dalla maestra

perché non ascolta la lezione sui primi abitanti

del suo pianeta.

Come si può restare indifferenti a un passaggio come questo?
Come può un insegnante (con o senza apostrofo, naturalmente) non interrogarsi sugli almeno due o tre nomi che potrebbe agevolmente sostituire – e l’ha già fatto, col pensiero – ad Antonio, mentre legge?
Come può non rammaricarsi di quelli che quotidianamente perde, per pochi o molti minuti, o che non è riuscita a catturare, per gli svariati, infiniti motivi di cui è colma la mente di un bambino?

Leggo sempre agli adulti Uno come Antonio insieme a Stavo pensando…di Sandol Stoddard e Igor Chermayeff, nella magnifica traduzione di Bruno Tognolini per Topipittori. Mi sembra che insieme siano insuperabili.

E invece ieri ho letto Uno come Antonio per la prima volta a dei bambini e a delle bambine. 
Ai miei bambini e alle mie bambine.

E in entrambe le classi, me l’hanno subito richiesto, un’altra volta.
E poi l’ho letto una terza. Mentre disegnavano, e scrivevano.

Perché il più scaltro, quello che ormai anticipa ogni mia mossa (Mi leggi nella mente, gli ho detto oggi. E lui rideva felice) l’aveva già capito: A sinistra facciamo Uno come Antonio, e a destra Uno come… e mettiamo il nostro nome).

Ah, i bambini e le bambine!















mercoledì 2 ottobre 2019

Verifiche, valutazioni e... tempo





Che poi, si sa, a scuola le verifiche tocca proprio farle.

Si può certamente disquisire sulle modalità, e ragionare su quali siano più a misura di bambina e di bambino, quali le più inclusive, divertenti, personalizzate o individualizzate.

Resta il fatto che, una volta fatte, bisogna pure valutarle: e se ci sono colleghe e colleghi per cui questo non è mai stato e non sarà mai un problema, ci sono pure quelli per cui ogni volta è disperante stabilire i criteri di valutazione (sì, lo so, ci sono le rubriche, ma io ancora devo capire cosa sono e come utilizzarle).

Per dire: dopo esserci esercitati, in classe, insieme e a coppie sul riordino alfabetico, m’è toccato farci la verifica. E mi è toccato pure valutarla.

Senonché, in italiano spesso la valutazione non è matematica. E scusate il gioco di parole.

Perché: come valuto chi ha fatto due errori in trenta minuti, e chi nessuno in sessanta?

Questa volta – era la prima – ho infatti introdotto la variabile tempo, appuntandomi i minuti necessari per ogni bambina o bambino che avesse completato entrambi gli esercizi, e dando un tempo massimo di sessanta minuti per la consegna (anche perché, diciamocelo, può un bambino o una bambina di sette anni lavorare in autonomia per più di un’ora?).

Tempo di consegna scritto anche sul quaderno: e non tanto per le bambine e i bambini, ma soprattutto per i genitori.

E qui si è resa necessaria una “lettera d’accompagnamento”:

Gentili genitori, 
poche righe per motivare l’appunto sul tempo impiegato per lo svolgimento della verifica sul riordino alfabetico: fino ad ora, non ho mai chiesto alle bambine e ai bambini di svolgere verifiche a tempo, ma, semplicemente, di lavorare con ordine e impegno secondo i propri ritmi. Riguardo l’attività di oggi, però, era necessario, ai fini della valutazione, tenere in considerazione anche questa variabile: il tempo minimo impiegato per lo svolgimento dei due esercizi è stato di 30 minuti. Al termine di 60 minuti ho chiesto a tutti, anche a chi ancora non avesse completato il lavoro, di consegnare, soprattutto perché tale tempo mi sembrava la richiesta massima per un’attività autonoma di un alunno/a di inizio seconda. Il completamento dell’attività verrà realizzato insieme in classe.
L’indicazione del tempo impiegato per lo svolgimento non serve quindi al/la singolo/a bambino/a, ma ai rispettivi genitori, per comprendere se il ritmo di lavoro del/la proprio/a figlio/a è lento/adeguato/rapido rispetto ai parametri minimo/massimo. Ci auguriamo che per i bambini sia semplicemente una prima occasione di riflessione sulla propria capacità di gestire il tempo; un percorso che sarà sicuramente lungo, ma in cui non dovrà mai mancare il supporto e l’incoraggiamento di insegnanti e famiglie.
Grazie per l’attenzione
Maestra Antonella (riflessione condivisa con le colleghe)


Perché anche il tempo, che sia tanto o poco quello impiegato da ogni bambina o bambino, dipende da infinite variabili: dalla conoscenza dell’argomento, dalla memoria, dall’interesse, dalle competenze di ognuno, dalla capacità di mantenere adeguati concentrazione e impegno, dalla felpa che cade, dall’astuccio da spostare, le gambe da sgranchire, il panorama da guardare, la mano da alzare, la matita da temperare, la gomma da raccogliere, le conferme da chiedere…

Devo continuare?