mercoledì 26 settembre 2018

Viva le fotocopie!

Chi mi conosce lo sa: anche se non amo le schede, le fotocopie, ci sono però delle attività che, pur prevedendo l’utilizzo della fotocopiatrice, negli anni mi sono parse sempre significative, perché mettono al centro le bambine e i bambini tutti, le loro conoscenze, le loro capacità, il loro pensiero.

Così, anche quest’anno, uno dei primi lavori sul quaderno di italiano è stato realizzato grazie alle fotocopie.
Dopo aver letto alcuni albi con protagonisti il cui nome iniziava con A (Anselmo, Anna, Alfredo, Amos), ho consegnato alle bambine e ai bambini un piccolo rettangolo di carta (1/16 di A4) e ho chiesto loro di disegnare, utilizzando il pennarello nero a punta finissima, cose, persone, parole che iniziassero con la lettera A.  (Mi sembra, questo di disegnare, e poi scrivere, ognuno sul proprio piccolo foglio, uno dei primi modi per dar voce a tutti, e a tutti riconoscere uguale diritto ad esprimersi, e uguale dignità. E, in questo caso, se la parola pensata inizia con un’altra lettera, nessun problema: la si tiene da parte per quando sarà appropriata.)




Ogni bambina e bambino ha poi mostrato alla classe il proprio disegno, permettendo in questo modo ai compagni di indovinare cosa fosse rappresentato. In seguito, abbiamo raggruppato i disegni di identici soggetti e per finire abbiamo fatto le fotocopie, che sono poi state ritagliate, incollate sul quaderno e colorate.
Ad accompagnarle, una parola per ogni immagine.

Ci si impiega molto tempo, a fare questo lavoro: ma ci si impiega molto tempo anche per imparare, e diventare grandi.
















A scrivere s’impara scrivendo.

sabato 22 settembre 2018

Avete visto Anna?


Da sempre penso che pedagogia e didattica non possano che essere strettamente correlati. Nel fare scuola in cui credo, c’è sempre il tentativo di tenere strettamente insieme la conoscenza dei processi dell’educazione e della formazione umana con l’insegnamento.

Così, in questi primi giorni, l’avvio delle attività che porteranno le bambine e i bambini a leggere e scrivere non può prescindere dalla conoscenza di ognuno di loro, da parte degli insegnanti e tra loro stessi.

Insieme a molte attività semplici e concrete da realizzare e ritualizzare (penso, ad esempio, all’appello in cui ognuno risponde con i propri preferiti in diverse categorie: pizza, gelato, frutto, personaggio televisivo…) mi piace proporre loro albi che, presentando in modo evidente le prime lettere che impareremo a conoscere, permettano loro di comprendere e confermarsi nella convinzione che ognuna, ognuno, è unico e speciale.

In questi primi giorni è toccato ad Anna, la protagonista smarrita (vuol dire scomparsa) dell’albo Avete visto Anna?, scritto da Susanna Mattiangeli e illustrato da Chiara Carrer per Il castoro.




Anna è al mercato con la mamma (mi pare che Susanna Mattiangeli ami le situazioni in cui la gente sta insieme, si confonde, si mescola: anche questa è politica, no?), quando improvvisamente scompare.

(La mamma ha paura che l’hanno rapita! Quanto ci racconta questa semplice frase delle paure, spesso indotte proprio da noi adulti, dei nuovi bambini. E, mi chiedo: come sono cambiate, le loro e le nostre paure, nel corso degli anni?)

Subito, intorno alla mamma, si raduna una piccola folla, che ha bisogno di sapere come sia fatta Anna, per poterla cercare e, soprattutto, trovare.

Ma è difficile descriverla: Anna è diversa da tutti. In mezzo a tanti bambini, c’è solo lei, come lei.


 



Anna può essere molto morbida. Si muove morbida, si siede morbida.

Se ascolta una storia, per esempio, sta stesa a sentire, si tiene la faccia, è soffice e liscia.





Ma tutto può cambiare. L’aria, i pensieri, l’umore.

Se si indurisce, cammina dritta, si sposta di scatto, urta gli oggetti, è tutta compatta.





Anna a volte si scatena. Si agita, si incendia. Si accende e fa la fiamma.

Dopo qualche minuto è tutta calda, sulla fronte, sulle guance, sulle mani.




Se però osserva le formiche, sta ferma per un pezzo.

Magari non c’è il sole, le formiche vanno e vengono, lei diventa fredda e nemmeno se ne accorge.



 



Se si offende, diventa ruvida e ti spinge, le spuntano le spine e in un attimo ti punge.

Quando è così, ti conviene star lontano.


 





Come incomincia:

È stato un attimo. Un chilo di mele, un’occhiata ai mandarini e Anna non si trova più.

“Scusate, averte visto Anna? Era qui un momento fa, non può essere lontana.”



“Ma com’è fatta questa Anna?” chiedono le signore al mercato.

“Ha due codini e la gonna bianca.”

“Come quella lì? O forse questa qui? O laggiù? O quassù? O qui dietro?”

“No, no. Nessuna di loro è Anna.”



MATTIANGELI S. – CARRER C., Avete visto Anna?, Il castoro

martedì 18 settembre 2018

Si può fare?


Come si diventa protagonisti attivi, scientemente agenti, motori del cambiamento?
Me lo chiedo da tempo, ma in particolare da ieri, quando, a proposito delle mie perplessità sull’obbligatorietà della valutazione numerica in prima, o quantomeno al termine del primo quadrimestre della prima, la mia amica Lucia ha scritto: “[…] siccome siamo in tanti a pensarla così, dovremmo trovare il modo di far valere questa nostra istanza, magari per provare a cambiare qualcosa”.
Così ora mi chiedo, vi chiedo: è vero che siamo in tanti a pensare che la valutazione del processo di apprendimento delle bambine e dei bambini di sei anni non possa e non debba obbligatoriamente passare attraverso un voto numerico, espresso a pochi mesi dall’inizio della scuola, senza la necessaria e approfondita conoscenza pregressa, da parte degli insegnanti, del percorso che ha portato ogni bambina, ogni bambino, al momento del suo ingresso alla scuola primaria?
Perché la valutazione numerica, che alla fine del primo quadrimestre non ha valore amministrativo, viene ritenuta obbligatoria da alcuni dirigenti, mentre in altri istituti da anni viene approvata dal collegio docenti una piccola ma significativa sperimentazione, che permette agli insegnanti di valutare - che valutare dobbiamo, e lo sappiamo bene - al termine del primo quadrimestre, solo attraverso un giudizio globale?
Io vorrei che da questo momento provassimo a fare la conta, per capire se davvero siamo in tanti: e, se così è, che cominciassimo a riflettere, anche con l’aiuto di chi ne sa più di noi, su come agire concretamente per chiedere che questa possibilità sia data, in maniera chiara, legittima e univoca, non individualmente interpretabile, a tutti gli insegnanti che credono nella valutazione come processo formativo e non sommativo, e che temono le insicurezze e i danni che la valutazione numerica può generare in bambini così piccoli (in particolare in quelli maggiormente in difficoltà) e nelle loro famiglie.
Ho rubato il titolo di questo post (aggiungendo solo il punto interrogativo) al libro di Davide Tamagnini. Lui ha aperto la strada. Mi piacerebbe che tutti quelli che ci credono potessero percorrerla, legittimamente giustificati.




lunedì 17 settembre 2018

Anselmo, la scuola e i (brutti) voti

Mi fa sorridere pensare che, dal 2008, per ben tre volte, Anselmo abbia accompagnato i primi giorni di scuola miei e dei miei piccoli alunni.








Mi fa sorridere perché davvero quest'anno mi ero ripromessa di cambiare: non amo le attività ripetute, negli anni sempre uguali a loro stesse.
Eppure, anche quest’anno Anselmo mi ha chiamato.
Con il suo orecchio piegato, la sua preoccupazione, i suoi pensieri tristi, ha dato voce a qualche lacrima inattesa caduta in questi giorni, a uno sguardo timoroso, a una testolina che si poggiava sul banco.
Così, ancora una volta, Anselmo è venuto a scuola con me; e non so se sia perché, nel corso degli anni, è diventato più esperto e sicuro di sé, ma le nuove bambine e i nuovi bambini hanno interpretato le sue paure in modo totalmente inatteso.



Dopo aver letto il libro, ho chiesto loro: Cos’ha di speciale Anselmo?

Le orecchie
Anselmo parla.
Parla col suo amico.
Gli dice che è bella la scuola.
Anselmo all’inizio tremava.
Perché non voleva andare a scuola.
Perché aveva paura.
Della scuola.
Pensava che è brutta, invece è bella.


Di nuovo, ho chiesto: Anche voi avevate un po’ di paura come Anselmo?

Io sì. Avevo paura perché ci sono i compiti.
Perché si fanno tanti compiti.
Io per niente paura.
Io avevo un po’ paura per i voti.
Per le note.
Quelle che fanno ai maleducati.

Io ho paura dei brutti voti.


Lo ammetto. Questa risposta mi ha spiazzato. Che una bambina o un bambino di sei anni tema la scuola perché ci sono i compiti, mi pare sia nell’ordine naturale delle cose. Mi pare invece lo sia, o debba esserlo, meno la consapevolezza bambina che la scuola è dispensatrice di voti, in particolare di brutti voti.
Ancora una volta, mi sono confermata nella convinzione di quanto sia ingiusto un sistema di valutazione che fin dal primo quadrimestre della prima ci obbliga a utilizzare il voto numerico per codificare, quantificare, incasellare un processo di apprendimento di cui non conosciamo l’inizio, le basi, e che a fine gennaio 2019 avremo potuto verificare e valutare per soli 4 mesi; e soprattutto quanto questo sistema sia particolarmente ingiusto per chi parte con le sue piccole o grandi difficoltà. Proprio come Anselmo.


Come incomincia:

"Questo è Anselmo. 
Ha cinque anni e nove mesi, come me.
Siamo nati lo stesso giorno. 
Ad Anselmo piacciono le carote, ma soprattutto, quando andiamo in automobile, gli piace viaggiare sul ripiano di dietro, perché si vede meglio che dal finestrino e si possono salutare i cani e i gatti nelle altre macchine.”

ZOBOLI G. – MULAZZANI S., Anselmo va a scuola, Topipittori 











 

martedì 11 settembre 2018

Irrequietezza migratoria


Mi capita, a volte, prima che cominci la scuola -quella vera, con le bambine e i bambini, intendo-  di non riuscire a dormire. Con gli anni ho imparato a non lottare con l’insonnia, ma a farmela amica, sottraendole ore che durante il giorno non riesco a ritagliare per stare sola con me stessa e i miei pensieri. In queste ore rubate non è la lettura, a farmi compagnia, ma la scrittura: come se dare forma scritta, e in qualche modo ordinata, ai miei pensieri, potesse in qualche modo restituirmi il diritto al sonno.

Non è agitazione, la mia e neppure ansia, o inquietudine; mi pare somigli piuttosto a quell’irrequietezza migratoria che da anni mi affascina.

Fra poche ore inizierà un viaggio lungo cinque anni, di cui in questo momento conosco solo il punto di partenza e pochissimi compagni. Il grosso dello stormo, da guidare e proteggere nel volo, perché non si perda e arrivi a quella che sarà la destinazione comune, per ora è quasi solo dentro la mia, la nostra immaginazione. Li ho incontrati, qualche volta, quegli anatroccoli maschi e femmine, ma ancora non li conosco: non so cosa piace loro, cosa fa loro paura, in cosa eccellono e cosa temono di non saper fare. Non so cosa li farà sorridere, per cosa s’incupiranno, se a tratti mancheranno loro la mamma e il papà, o se la scuola, la classe, riusciranno sempre ad essere per loro una casa altra, sicura, accogliente, aperta.

Non so quante pause ci saranno necessarie, chi si attarderà e chi tenterà la fuga, chi, fin dal primo giorno, starà bene nel gruppo e chi avrà bisogno di tempo – tanto, poco, chi lo sa? – per fidarsi e affidarsi. Non so se saremo capaci, noi che alternandoci guideremo e chiuderemo lo stormo, di trovarne il giusto ritmo, assecondandolo alle fatiche e agli slanci e variandolo a seconda delle necessità. Non so se riusciremo a proseguire sempre insieme nella stessa direzione, o se ci saranno delle virate improvvise; non so come reagiremo alle difficoltà e agli entusiasmi.

Non so se nel viaggio incontreremo altri stormi, se ci saranno degli spostamenti da uno stormo all’altro, chi completerà il suo viaggio con una nuova formazione o chi, nuovo, arriverà.

Quel che so è che, quando sarà il momento, niente potrà fermarci. 



venerdì 7 settembre 2018

Storia piccola, ovvero Saper guardar andare, con gli occhi e il cuore che balla


Ieri mi sono resa conto che leggere per i grandi muove in me sentimenti diversi rispetto alla lettura per i più piccoli.
O, almeno, ieri è andata così.
Ho già utilizzato più volte in classe Storia piccola, il magnifico albo di Cristina Bellemo e Alicia Baladan edito da Topipittori. Ma, appunto, l’ho sempre e soltanto letto ai bambini, con tutta una serie di attività, di grammatica e produzione scritta, che ne sono conseguite.
Ieri sera, invece, l’ho letto ad alta voce ad un gruppo numeroso – più di una sessantina – di genitori.
Non so fino a che punto sia stata una lettura gratuita – volevamo, ci aspettavamo, una riflessione intima sull’unicità di ogni bambino per i rispettivi genitori, ma, soprattutto, il passo successivo, quell’accompagnare guardandolo, guardandola andare, “salutandolo con gli occhi e col cuore che ballava.
Perché, rifletto oggi non per la prima volta, ci sono tanti modi di lasciar andare, e quel che accadrà dopo dipende in gran parte dalla capacità di salutare con gli occhi e col cuore che balla, senza negare i sentimenti contrastanti che ogni distacco comporta, ovvero dando ad ognuno di essi diritto di cittadinanza dentro se stessi e gli altri, ma soprattutto fiduciosi nella capacità di ognuno, anche e soprattutto dei bambini ancora così piccoli, di accettare il distacco e di viverlo come una grande opportunità.
Ieri ho faticato a terminare la lettura con voce ferma: perché ho percepito, intorno a noi insegnanti, un’emozione densa, palpabile, una commozione vera, un silenzio che parlava e, forse, cantava.


Il brano che segue è tratto è A come Accoglienza, A come Amicizia, in A scuola con gli albi Insegnare con la bellezza delle parole e delle immagini, Topipittori 2018



Un albo particolarmente adatto a segnare il primo incontro tra genitori e scuola è Storia piccola, di Cristina Bellemo e Alicia Baladan, (Topittori 2015), che narra quale grande avventura sia crescere:




Come comincia:

C'era una volta l'infinito.

E dentro l'infinito c'era una galassia.
E dentro la galassia c'era un pianeta.
E dentro il pianeta c'era un continente.
E dentro il continente c'era uno stato.
E dentro lo stato c'era un paese.
E dentro il paese c'era una collina.
E sopra la collina c'era un castello.
E in quel castello c'era una stanza.
E in quella stanza c'era un principe.

Principe Beniamino.


C'era una volta Beniamino.



Beniamino è un bambino come tutti, anche se nato, secondo la finzione fiabesca, da una Reginamamma e un Repapà. Un bambino fortunato, non tanto perché principe, ma perché potrà crescere e imparare “[...] le cose. E le parole musica delle cose, e le parole che fanno le cose.” Già in questa frase è racchiusa molta parte del senso del fare ed essere scuola.









Beniamino cresce e con le parole crea il mondo: il suo e quello dei suoi genitori, che per la felicità cavalcano, danzano, piantano un albero d'olivo, si tuffano, fanno posto nel lettone, spalancano porte, ridono. 






Infine, quando Beniamino è pronto, dopo una festa bella quanto quella per la sua nascita, Reginamamma e Repapà si fermano e...



In quell'istante che era dentro un minuto.
E in quel minuto che era dentro un'ora.
E in quell'ora che era dentro un giorno.

[...]

Ecco, proprio in quell’istante, Reginamamma e Repapà usarono queste precise parole: «Fai buon viaggio».


E lo guardarono andare, salutandolo con gli occhi e col cuore che ballava.

Cristina Bellemo - Alicia Baladan, Storia piccola, Topipittori



martedì 4 settembre 2018

Non mi sento una privilegiata

Rileggo un post di due anni fa, a fine scuola, dal titolo “Non mi sento una privilegiata”, e mi viene voglia di riadattarlo.


La scuola sta per iniziare.

Tra i tanti privilegi degli insegnanti, ce n’è uno che pochi ci perdonano: le lunghe vacanze estive.
Eppure, non mi sento una privilegiata.

Non mi sento una privilegiata, perché faccio un lavoro dove non è previsto un manuale d'istruzioni. Un lavoro dove spesso devi adeguare i tuoi interventi uno ad uno, a seconda della bambina o del bambino che hai di fronte in quel preciso istante, della sua personalità e dei suoi bisogni.

Non mi sento una privilegiata perché in questo istante non so quasi nulla delle bambine e dei bambini che fra pochi giorni, quasi ogni giorno, mi troverò di fronte. E, fin da subito, ci verrà chiesto di relazionarci con ognuna e ognuno di loro nel modo più equilibrato, rispettoso, efficace possibile, come se li conoscessimo da sempre.

Non mi sento una privilegiata, perché temo i miei errori molto più dei loro, e perché so che gli errori di un insegnante (non ho dimenticato l’apostrofo, ci sono pur sempre i maestri), anche i più lievi, anche quelli compiuti in assoluta buonafede, rischiano sempre di produrre disagio e sofferenza in chi, dal disagio e dalla sofferenza, dovrebbe essere maggiormente protetto.

Non mi sento una privilegiata perché credo esistano almeno 28 modi diversi d'imparare, e probabilmente possono stare tutti all'interno di una sola classe.  Quel che non so, è come far convivere i 28 diversi modi di insegnare che forse sarebbero, all’interno della stessa classe, necessari.

Non mi sento una privilegiata quando sento, fortissima, la responsabilità di ogni parola che dico dentro le nostre aule, perché ci sono n° paia d’orecchie ad ascoltarle, a pesarle, a ripensarle, magari al chiuso di una cameretta o discutendo con gli amici.

Non mi sono mai sentita una privilegiata quando durante il giorno, la sera prima di dormire, e spesso anche il mattino appena sveglia, ho pensato a come e cosa avrei potuto fare, di più e meglio. Quando mi sono ripetuta: avrei dovuto, avrei potuto…

Non mi sono mai sentita una privilegiata quando con le colleghe abbiamo cercato i modi meno dolorosi (e meno definitivi, perché avremmo pur sempre potuto sbagliarci) per dire a un genitore, o scrivere in un documento di valutazione, che il suo bambino, la sua bambina, l’essere più prezioso che avesse al mondo, aveva delle difficoltà. Non mi sento una privilegiata quando mi chiedo (lo faccio ancora adesso, a quinte concluse da mesi) se ho fatto davvero tutto quel che potevo perché queste difficoltà fossero superate.

Non mi sono mai sentita una privilegiata quando a fine anno mi dibattevo tra un 7 o un 8, mentre immaginavo l’espressione della bambina o del bambino che avrebbe letto quel voto, e al suo viso triste o deluso.

Non mi sono mai sentita una privilegiata quando uscivamo da scuola con 53 bambini, e pensavo a tutto quel che sarebbe potuto succedere, e ho passato le ore a contarli, per assicurarmi che non ne mancasse neppure uno.

Non mi sono mai sentita una privilegiata quando, per andare in bagno, dovevo chiamare i collaboratori perché stessero con i bambini, garantendone la sicurezza e l’incolumità.

Non mi sono sentita una privilegiata in molti fine settimana degli ultimi anni,  mentre la maggior parte della popolazione attiva staccava dal lavoro, e io, come molti colleghi, correggevo 54 testi e riguardavo altrettante verifiche di grammatica. Ma tanto lavorate solo 24 ore a settimana, fate tre mesi di vacanza d’estate e quindici giorni a Natale.

Non mi sento una privilegiata, dunque.
E a chi pensa che io lo sia, chiedo sempre: “Ma perché non hai fatto anche tu l’insegnante?” 


C'è un solo motivo per cui mi sento una privilegiata: perché faccio un lavoro che amo. Ma per questo, non occorre essere insegnanti.





(immagini tratte da "Come funziona la maestra" di Susanna Mattiangeli e Chiara Carrer, Il castoro)

lunedì 3 settembre 2018

Scrivi come sei capace - Sandra Minciotti

Scrivi come sei capace - Sandra Minciotti*


“Scrivi come sei capace”.
Questa è la proposta che i miei bambini si sono sentiti fare innumerevoli volte da quando, in settembre,  è iniziata questa emozionante e faticosa fase della loro vita.
Potevo leggere nei loro sguardi così trasparenti tutto lo stupore che questa richiesta provocava: “maestra, ma io non sono capace!”
Non è facile far capire ad un bambino di sei anni che tutto quello che sa fare ha un valore, che l’errore è un evento naturale, che iniziare la prima elementare non vuol dire saper già leggere e scrivere solo perché si conoscono le lettere dell’alfabeto, che alla maestra non interessa  la perfezione, che non sarà delusa. 
Non è facile affrontare una dolorosa paura. 
Per fare questo ci vuole coraggio, come ci vuole coraggio per imparare ad alzarsi presto tutte le mattine, a stare seduti per un po’ di tempo senza alzarsi dal banco, a rivolgere lo sguardo, ancor prima che la parola, a tutti quei bambini sconosciuti, a raccontare le proprie esperienze, a dire quello che si pensa anche se si ha paura che sia sbagliato o non interessi a nessuno, ad affrontare le prese in giro e gli “scherzi”, a gestire lo stress di gomme matite pastelli che misteriosamente e inesorabilmente svaniscono nel nulla,  a mostrare alla maestra il quaderno con la data pasticciata, a dire “maestra, mi aiuti ?”.  
Ci vuole coraggio per  crescere.
E quindi ben venga il tema annuale “Il coraggio vien leggendo”, proposto dal progetto regionale   Crescere Leggendo nell’ambito LeggiAMO 0/18, ,  che ha come obiettivo l’ educazione alla lettura e pone al centro la comunità e la sua capacità di favorire un ambiente educativo ricco di storie e di libri.

Per questo progetto, inserito nel POF dell’ IC di cui fa parte la scuola in cui lavoro,  è stato scelto nel mio plesso il sottotitolo “Noi dentro le storie”.

E proprio attraverso le storie, in particolare attraverso gli albi illustrati, i miei coraggiosi bambini hanno imparato a leggere e a scrivere.

Questa scelta nasce dalla convinzione che utilizzare gli albi illustrati nel processo di apprendimento della letto-scrittura sia efficace sia sul piano dell’acquisizione delle strumentalità di base, cosa che si può ottenere anche con i testi adozionali di metodo, sia su quello che riguarda la capacità, da parte dei bambini, di riflettere su se stessi, sulle proprie esperienze, allo scopo di acquisire una maggiore consapevolezza delle proprie caratteristiche personali e della propria visione del mondo che li circonda.

Inoltre, confrontandosi con i personaggi degli albi e le loro storie, i bambini vengono stimolati  a sviluppare il piacere della lettura, e, cosa non secondaria,  la motivazione allo scrivere come narrazione del sé, nel fluire crono-logico e narrativo della propria esperienza.

Per ogni lettera dell’alfabeto presentata ho scelto un albo illustrato che fosse in qualche modo collegato alla lettera stessa, o attraverso il nome del personaggio o attraverso il contenuto.

Per mezzo di attività di ascolto, letture, conversazioni, produzione di testi collettivi, attività di scrittura spontanea e realizzazione di artefatti, in un’ottica trasversale tra le discipline di italiano e arte, i bambini hanno avuto la possibilità di apprendere attraverso una continua  riorganizzazione cognitiva rispettosa dei loro tempi, in un clima di inclusione e condivisione, in accordo con le life-skills individuate dall’OMS nel documento prodotto nel 1993, “Life Skills Education in Schools”.

L’approccio all’apprendimento della letto-scrittura attraverso gli albi illustrati assume quindi una prospettiva esistenziale con una valenza formativa del bambino in quanto persona.



ALBI CORAGGIOSI






INCONTRO CON PAROLE CHE RACCONTANO E DESCRIVONO


Durante e dopo l’ascolto  i bambini : pongono attenzione e colgono le parole-chiave del testo narrativo; scoprono e stabiliscono relazioni; riconoscono gli aspetti caratterizzanti dei protagonisti dei libri; ricordano e raccontano esperienze personali autobiografiche collegate ai testi ascoltati;  compongono-scompongono frasi-testo narrative e descrittive.












NOI VERSO LA SCRITTURA DENTRO LE STORIE

Nella fase di appropriazione del segno grafico, dell’ apprendimento della corrispondenza tra grafema e fonema, della costruzione del concetto di scrittura, i bambini: si identificano con i personaggi o le situazioni narrate negli albi illustrati; producono e copiano testi collettivi; producono parole/frase, brevi frasi o semplici testi che raccontino le proprie esperienze e le emozioni collegate ad esse in attività di scrittura spontanea (scrivi come sei capace); costruiscono un’idea di scrittura attraverso continui aggiustamenti cognitivi



ALBI ILLUSTRATI E ARTE
Nel percorso trasversale tra le discipline di italiano e arte, i  bambini: osservano illustrazioni/immagini e compiono inferenze sul testo; esprimono preferenze e valutazioni (secondo me); illustrano con tecniche diverse le frasi/testi prodotti.


NOI DENTRO LE STORIE
Nell’ultima fase del percorso, i bambini : ricordano e raccontano in forma scritta, attraverso attività di scrittura spontanea, esperienze personali autobiografiche collegate ai testi ascoltati;  condividono con i compagni attraverso la lettura le frasi/testo prodotte.

A fine anno è stata realizzata una mostra nei locali della scuola per condividere con le famiglie il percorso realizzato.
*Sandra è, insieme ad altre splendide persone, uno dei grandi doni del Masetto.
Sono affascinata dal suo approccio educativo e didattico, con particolare riferimento alla scrittura spontanea. Questo è il terzo post a suo nome che appare su Apedario. Trovate il primo qui.
Qui il secondo.