Oggi è l’ultimo giorno, di
questi cinque anni, dedicato ai colloqui individuali. Che, lo devo dire, a
volte non sono facili, altre ti procurano dei veri e propri dolori, ma per la
maggior parte sono davvero la prova che famiglie e insegnanti costruiscono
insieme, e insieme accompagnano, sostengono, lasciano andare.
Ed è proprio sul necessario
lasciar andare -avendo avuto cura, prima, di aver aiutato ogni bambina e ogni
bambina a padroneggiare gli strumenti necessari per camminare in autonomia- che
mi pare bello, e giusto, riprendere in mano il libro che più di ogni altro,
in questi anni, mi sembra parlare di questo ad ogni adulto che dei bambini si
prenda cura.
Prendersi cura, e poi
lasciare andare. Credo che il compito di ogni adulto, nei confronti dell'infanzia, stia tutto in queste parole.
Scrivevo, ormai quasi tre anni fa:
Lunedì 7 settembre 2015
Apro il libro. La risguardia è ordine e
delicatezza: gli alberi si stagliano puliti sul fondo chiaro, dove i sentieri
formano una trama semplice e garbata.
Questa sobrietà, questa pulizia,
continuano anche su colophon e frontespizio, dove nuovi alberi, di forme e
colori diversi, sono al centro della scena, mentre autori ed editore sembrano
ritrarsi per far spazio all'immagine.
Giro pagina, e mi ritrovo, attratta come
sono dalle parole e dalla forma che assumono sulla pagina quanto dalle
immagini, già rapita dal susseguirsi di due parole:
E dentro
C'era una volta l'infinito.
E dentro l'infinito c'era una galassia.
E dentro la galassia c'era un pianeta.
E dentro il pianeta c'era un continente.
E dentro il continente c'era uno stato.
E dentro lo stato c'era un paese.
E dentro il paese c'era una collina.
E sopra la collina c'era un castello.
E in quel castello c'era una stanza.
E in quella stanza c'era un principe.
Principe Beniamino.
Immagino i visi e le espressioni dei
bambini mentre leggerò queste righe, e prendo nota del fatto che, mentre leggevo,
molti pensieri diversi mi hanno attraversato la mente: ma quello che non devo
assolutamente dimenticare è che questo incipit è perfetto per riprendere con i
miei bambini la grammatica, e con essa la distinzione tra articoli
indeterminativi e determinativi.
Cosa c'è di più chiaro di l'infinito
che contiene una galassia, una tra le tante?
Ma poi, una galassia diventa
la galassia, perché è proprio quella che ci interessa, una
sola tra le tante, e dentro la galassia c'è un
pianeta, che nel verso successivo (verso, certo, perché questa prima
pagina non è nient'altro che poesia, o filastrocca, in ogni caso un luogo in
cui il ritmo e il suono delle parole concorrono in modo essenziale al loro
significato) diventa a sua volta, ormai è chiaro, il pianeta. E
così via.
E poi dentro, sopra, quello,
quella. E la corretta scrittura di c'era.
E Principe Beniamino, alla fine della
pagina, un verso solitario, diviso dalla strofa precedente, e senza articolo,
neppure quello determinativo – però con due maiuscole (vi ricordate,
bambini, quando si usano le maiuscole?).
La grammatica, dicevo, certo. Perché la
amo, perché dà forma e significato alla parola. Perché, per fortuna o
purtroppo, raramente dimentico di essere una maestra, e da maestra ho sempre
fatto grammatica a partire dai libri e dai testi letti in classe, senza mai
dividere la riflessione linguistica dalla lettura e dalla scrittura, e
possibilmente su un unico quaderno, perché tutto sia unito, collegato.
Ma il libro prosegue, e le parole mi
hanno distolto dall'immagine successiva: solo ora forse posso capire perché la
ricerca di quella speciale tonalità di rosso sia stata così complessa.
Giro nuovamente pagina, ed eccolo,
Principe Beniamino.
Anzi:
C'era una volta Beniamino.
Un bambino, un bambino come tutti, anche
se nato da una Reginamamma e un Repapà. Un bambino fortunato, non tanto perché
Principe, ma perché potrà crescere e imparare “[...] le cose. E le parole musica delle cose, e le parole che
fanno le cose.”
Non posso impedirlo: penso ai tanti,
troppi bambini che non potranno crescere, non potranno imparare. A quelli che
hanno avuto almeno l'onore del ricordo, e del cordoglio del mondo, perché
divenuti simbolo, e ai tanti, troppi, di cui non conosceremo mai il nome.
Beniamino cresce, e con le parole crea
il mondo: il suo e quello dei suoi genitori, che per la felicità cavalcano,
danzano, piantano un albero d'olivo, si tuffano
fanno posto nel lettone, spalancano
porte, ridono. E poi, quando Beniamino è pronto, dopo una festa grande quanto
quella per la sua nascita, Reginamamma e Repapà di fermano e...
“In quell'istante che era dentro un
minuto.
E in quel minuto che era dentro un'ora.
E in quell'ora che era dentro un giorno.
[...]”
Non posso proprio svelarvi il finale:
posso solo dirvi che è il finale perfetto.
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