mercoledì 18 aprile 2018

Prendersi cura, e poi lasciar andare


Oggi è l’ultimo giorno, di questi cinque anni, dedicato ai colloqui individuali. Che, lo devo dire, a volte non sono facili, altre ti procurano dei veri e propri dolori, ma per la maggior parte sono davvero la prova che famiglie e insegnanti costruiscono insieme, e insieme accompagnano, sostengono, lasciano andare.

Ed è proprio sul necessario lasciar andare -avendo avuto cura, prima, di aver aiutato ogni bambina e ogni bambina a padroneggiare gli strumenti necessari per camminare in autonomia- che mi pare bello, e giusto, riprendere in mano il libro che più di ogni altro, in questi anni, mi sembra parlare di questo ad ogni adulto che dei bambini si prenda cura.

Prendersi cura, e poi lasciare andare. Credo che il compito di ogni adulto, nei confronti dell'infanzia, stia tutto in queste parole.






Scrivevo, ormai quasi tre anni fa:

Lunedì 7 settembre 2015

Apro il libro. La risguardia è ordine e delicatezza: gli alberi si stagliano puliti sul fondo chiaro, dove i sentieri formano una trama semplice e garbata.
Questa sobrietà, questa pulizia, continuano anche su colophon e frontespizio, dove nuovi alberi, di forme e colori diversi, sono al centro della scena, mentre autori ed editore sembrano ritrarsi per far spazio all'immagine.

Giro pagina, e mi ritrovo, attratta come sono dalle parole e dalla forma che assumono sulla pagina quanto dalle immagini, già rapita dal susseguirsi di due parole: 

E dentro

C'era una volta l'infinito.
E dentro l'infinito c'era una galassia.
E dentro la galassia c'era un pianeta.
E dentro il pianeta c'era un continente.
E dentro il continente c'era uno stato.
E dentro lo stato c'era un paese.
E dentro il paese c'era una collina.
E sopra la collina c'era un castello.
E in quel castello c'era una stanza.
E in quella stanza c'era un principe.

Principe Beniamino.



Immagino i visi e le espressioni dei bambini mentre leggerò queste righe, e prendo nota del fatto che, mentre leggevo, molti pensieri diversi mi hanno attraversato la mente: ma quello che non devo assolutamente dimenticare è che questo incipit è perfetto per riprendere con i miei bambini la grammatica, e con essa la distinzione tra articoli indeterminativi e determinativi.

Cosa c'è di più chiaro di l'infinito che contiene una galassia, una tra le tante?

Ma poi, una galassia diventa la galassia, perché è proprio quella che ci interessa, una sola tra le tante, e dentro la galassia c'è un pianeta, che nel verso successivo (verso, certo, perché questa prima pagina non è nient'altro che poesia, o filastrocca, in ogni caso un luogo in cui il ritmo e il suono delle parole concorrono in modo essenziale al loro significato) diventa a sua volta, ormai è chiaro, il pianeta. E così via.
E poi dentro, sopra, quello, quella. E la corretta scrittura di c'era.
E Principe Beniamino, alla fine della pagina, un verso solitario, diviso dalla strofa precedente, e senza articolo, neppure quello determinativo – però con due maiuscole (vi ricordate, bambini, quando si usano le maiuscole?).

La grammatica, dicevo, certo. Perché la amo, perché dà forma e significato alla parola. Perché, per fortuna o purtroppo, raramente dimentico di essere una maestra, e da maestra ho sempre fatto grammatica a partire dai libri e dai testi letti in classe, senza mai dividere la riflessione linguistica dalla lettura e dalla scrittura, e possibilmente su un unico quaderno, perché tutto sia unito, collegato.

Ma il libro prosegue, e le parole mi hanno distolto dall'immagine successiva: solo ora forse posso capire perché la ricerca di quella speciale tonalità di rosso sia stata così complessa.
Giro nuovamente pagina, ed eccolo, Principe Beniamino.

Anzi:

C'era una volta Beniamino.

Un bambino, un bambino come tutti, anche se nato da una Reginamamma e un Repapà. Un bambino fortunato, non tanto perché Principe, ma perché potrà crescere e imparare “[...] le cose. E le parole musica delle cose, e le parole che fanno le cose.”
Non posso impedirlo: penso ai tanti, troppi bambini che non potranno crescere, non potranno imparare. A quelli che hanno avuto almeno l'onore del ricordo, e del cordoglio del mondo, perché divenuti simbolo, e ai tanti, troppi, di cui non conosceremo mai il nome.

Beniamino cresce, e con le parole crea il mondo: il suo e quello dei suoi genitori, che per la felicità cavalcano, danzano, piantano un albero d'olivo, si tuffano



fanno posto nel lettone, spalancano porte, ridono. E poi, quando Beniamino è pronto, dopo una festa grande quanto quella per la sua nascita, Reginamamma e Repapà di fermano e...

In quell'istante che era dentro un minuto.
E in quel minuto che era dentro un'ora.
E in quell'ora che era dentro un giorno.
[...]”
 
Non posso proprio svelarvi il finale: posso solo dirvi che è il finale perfetto.

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