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venerdì 29 novembre 2019

Cosa c'è nella tua valigia?


Un giorno, nelle scorse settimane, ho letto, chissà dove: I bambini non sono più capaci di empatia.

Ora. A parte che, a me, le affermazioni tanto lapidarie quanto generiche generano sempre un enorme fastidio, mi chiedo: quali bambini? Non ho letto l’articolo, ero come sempre di corsa, e ora probabilmente non sarei neppure in grado di ritrovarlo.

Però, poi, sono tornata in classe, e ho letto ai miei Cosa c’è nella tua valigia?, di Chris-Naylor-Ballesteros, Terre di mezzo. E tutto si è capovolto.




I bambini e le bambine, forse non tutti, sicuramente molti, sono ancora capaci di empatia: sobbalzano all’idea che la volpe si faccia dare una pietra per rompere la valigia dello strano animale (Non può! Non è sua!), immaginano l’infelicità di chi sta per scoprire che ciò che era riuscito a trarre in salvo è ormai perduto, sorridono felici all’insperato finale (buonista? Probabile. Ma non ci importa, proprio per nulla).

E quando ho chiesto loro di scrivere a cosa avevano pensato mentre io leggevo, alcune frasi mi hanno stupito: 

Sono stati cattivi a rompere la valigia. Sono stati bravi a costruire la casa.

Mi ha fatto provare tristezza e felicità nello stesso momento.

Mi è piaciuto che il coniglio non voleva rompere la valigia.

Non era giusto che loro avevano rotto la valigia e poi [lo strano animale] aveva detto la verità ma quando rompi una cosa devi chiedere scusa.

Gli animali non credevano in lui.

Invece era vero che c’era la tazza e poi gli hanno spaccato tutto ma dopo hanno fatto amicizia e hanno sistemato il disastro e dopo hanno comprato altre tazze comunque la volpe è diventata amica e anche quello strano animale.

Che la volpe era un bullo. L’uccello era con la volpe. Lo straniero rimase a bocca aperta e avevano pitturato la casa.

Quando ti trasferisci in altri posti ci sono cose nuove forse ti emozioni o forse ti spaventi un po’. Ti ci devi abituare ti senti un po’ triste quando lasci la tua casa. Sentirai la mancanza della tua casa. Troverai nuovi amici.





Così, sull’onda (è proprio il caso di dirlo) delle riflessioni scritte da ciascuno, il giorno dopo ho chiesto di scrivere, questa volta sul proprio quaderno, cosa avrebbero portato in valigia, fossero dovuti partire per un viaggio.

E, ancora una volta, alcune pagine mi hanno mostrato che c’è speranza, almeno finché lasciamo fare ai bambini:








Come incomincia:

Un giorno arrivò uno strano animale, sembrava coperto di polvere, stanco, triste e spaventato.
Trascinava una grossa valigia.

-Ehi, ciao! Cosa c’è nella tua valigia?
-Nella mia valigia? Be’, c’è una tazza da tè.

-Una tazza da tè?
-È una valigia bella grande per una tazza così piccola!
-Sì, hai ragione. Ma ci sono anche un tavolo per appoggiare la tazza, e una sedia di legno per me, così posso sedermi.


 

-Ci sono un tavolo e una sedia nella valigia? Impossibile!
-Be’, è la sua valigia.
-Ma un tavolo e una sedia? Sul serio?
-Sì. E c’è anche una capanna di legno con una piccola cucina, dove preparo il tè. È casa mia.

Chris Naylor-Ballesteros, Cosa c’è nella tua valigia?, Terre di mezzo

venerdì 13 settembre 2019

La cosa più importante


Non è stata facile, la scelta del libro con cui (ri)cominciare il nostro cammino insieme. 
Nelle settimane precedenti il primo giorno di scuola, ho ripreso in mano molti albi conosciuti; altri li ho scoperti per contaminazione.  Ho fatto una prima scelta, da sola, e poi una seconda, con le colleghe.

Un libro ha suscitato l’approvazione di tutte: un albo che, forse, da sola non avrei scelto, ma la cui lettura attenta ha provocato tutta una serie di riflessioni a catena e contaminazioni ulteriori, che di giorno in giorno me ne hanno confermato la bontà.



Antonella Abbatiello, La cosa più importante, Giunti


Su tutto, la reazione unanime dell’intero gruppo (41 tra bambine e bambini, di cui tre nuovi iscritti, uniti nell’ascolto): risate, anticipazioni e riflessioni attente e subito personali.

Come incomincia:


Un giorno nel bosco di Pratorosso ci fu un’accesa discussione fra gli animali.
Il coniglio diceva: “La cosa più importante è avere ORECCHIE LUNGHE.
Chi ha orecchie lunghe si accorge subito di ogni piccolo rumore sospetto, del tuono, del pericolo, e può scappare in tempo.”
“Forse è così” pensarono gli altri.

Perché, alla domanda “Ma cos’è, secondo voi, la cosa più importante?”, queste sono state le risposte:

Essere diversi

Essere quelli che sono

Essere bravi a imitare gli animali

Essere se stessi

Essere bravi a scuola

Imparare

Curarsi

Non avere tutte le cose uguali

Ascoltare sempre quelli più grandi di noi

Giocare

Accogliere bene gli amici

Essere sinceri

Essere sempre quelli che siamo

Essere amici

Volersi bene anche se diversi

Chiedere scusa

Ascoltare sempre le maestre

Fare amicizia

Non dire le bugie

Non fare arrabbiare le maestre

Essere bravi

Non toccare i fiori con le spine

Giocare con gli amici

Volersi bene e giocare

Tenersi in forma

Non litigare e non farsi male

Chiedere come ti chiami

Essere a scuola e essere bravi

I colori del mondo


Così, utilizzando ancora una volta come modello la sagoma disegnata da Simona Mulazzani per Un posto silenzioso, di Luigi Ballerini, Lapis, ogni bambina e ogni bambino ha potuto disegnare se stesso e le cose per lei, per lui più importanti.

Così diversi, così uguali. Tante bambine, tanti bambini, una sola classe: anzi, due.












mercoledì 3 aprile 2019

Il bimboleone, la bimbabradipo e altri bambini

Sono partita per la Fiera di Bologna con un’unica certezza: il libro che, il giorno dopo, avrei letto in classe alle mie bambine e ai miei bambini sarebbe stato Il bimboleone e altri bambini, di Gabriele Clima e Giacomo Agnello Modica, Edizioni Corsare.



È un libro che, prima ancora di vederlo dal vero, mi ha fatto pensare a un imperdibile del 2001, Scuola foresta, di Stefano Bordiglioni, Einaudi Ragazzi, recentemente ripubblicato nella collana Storie e rime.


Come in quel libro, anche qui i bimbi sono narrati nella loro diversità e complessità – perché, ne sono certa, dentro lo stesso bambino possono convivere, che so, un bimboleone e un bimbopeluche. E, forse, la cosa più bella di questo testo è la sua mancata pretesa di esaustività: questo le bambine e i bambini l’han colto subito, in modo chiaro e, mi vien da dire, potente, tanto che qualcuno, appena terminata la lettura, mi ha chiesto: “Adesso possiamo disegnare? E possiamo inventarne altri?”






 

Ecco, credo che la forza di questo libro, oltre alle immagini del suo giovanissimo e promettente illustratore, sia dentro un testo che spinge ad andare oltre, a continuare il gioco, a cercare il proprio bimbo… giusto. Quello adatto a oggi, a questo momento, proprio adesso. Perché fra un giorno, un’ora, o solo un attimo, quello adatto potrebbe essere un altro.







Come incomincia:

Quanti sono i bambini del mondo?
Tanti, tantissimi.
E tutti diversi…

C’è il BIMBOGATTO un po’ selvatico e un po’ coccolone.
A volte ti regala un sorriso,
a volte ti dà una zampata.
È fatto così, è un bimbo agrodolce (“Cosa vuol dire agrodolce?”)
Non puoi togliere l’agro
senza togliere il dolce.

Per far felice un bimbogatto devi…
Fargli capire che, ogni volta che vuole,
può avvicinarsi e farti le fusa.

CLIMA G. – MODICA G. A., Il bimboleone e altri animali, Edizioni Corsare

giovedì 25 ottobre 2018

Gli Ughi e la maglia nuova, ovvero Tutti uguali?





Anche Gli Ughi e la maglia nuova, di Oliver Jeffers, zoolibri, ci aiutano a riflettere su uguaglianza e diversità: facile, gli Ughi sono tutti uguali, almeno fino a quando Ruperto decide di ricamarsi una maglia nuova. All’inizio, la diffidenza è davvero tanta, e Ruperto viene considerato quanto meno stravagante; è però sufficiente che il suo amico Gilberto decida di apprezzare il suo esempio, perché in breve tempo, la diversità non sia più un’eccezione, ma diventi regola, tanto da indurre Ruperto a cambiare di nuovo.

Dopo la lettura e la visione online del filmato curato dal Laboratorio di Comunicazione e Narratività dell'Università degli Studi di Trento-Rovereto diretto da Marco Dallari. 


Poi abbiamo riflettuto insieme se davvero anche noi, come gli Ughi, siamo tutti uguali. Per farlo, ho chiesto alle bambine e ai bambini di disegnare al tratto su un foglietto la cosa che più a loro piacesse, o piacesse fare (La cosa più bella della vita, ha esclamato una voce).

Ognuno ha lavorato in silenzio, e in segreto (Possiamo fare le barriere? ha chiesto un’altra voce, intendendo l’uso degli astucci a coprire il proprio lavoro. Ho risposto che le barriere proprio non mi piacciono, a scuola come nella vita.)

Poi, a turno, ognuno ha raccontato cosa avesse scelto di disegnare, e io l’ho scritto, utilizzando le precise parole dette dai bambini e dalle bambine (per questo non abbiamo sostituito fare i Lego con costruire, o pitturare con dipingere).

Ho consegnato loro la fotocopia con le loro parole, e abbiamo incollato i disegni su un foglio A3, che poi ho fotocopiato, riducendolo perché potesse essere piegato e incollato sul quaderno.

Anche questo mi pare sempre un bel modo di documentare un’attività fatta in classe che altrimenti non potrebbe essere condivisa con le famiglie.







Così, insieme alla passione per il calcio o per i cani, possiamo trovare quella per i viaggi in auto quando piove, per il canto degli animali (e non semplicemente degli uccelli), per l’osservazione delle stelle in cielo o per l’esplorazione marina.

Due frasi in particolare hanno scaldato il mio cuore di lettrice ad alta voce: in entrambe le classi, due voci hanno detto che a loro piace quando la maestra legge le storie.

 
Come incomincia:
“Gli Ughi avevano una caratteristica: erano tutti uguali!
Erano tanti, tantissimi…                   
Avevano lo stesso aspetto…avevano gli stessi pensieri…e avevano le stesse passioni.
Finché un giorno, uno di loro –si chiamava Ruperto- ebbe l’idea di ricamarsi una bella maglia nuova.
La indossava dappertutto, e ne era MOOOLTO orgoglioso!
Non tutti, però, erano d’accordo con i suoi gusti…
JEFFERS O., Gli Ughi e la maglia nuova, Zoolibri




martedì 23 ottobre 2018

Igor, o la ricerca di qualcuno che ci somigli

Ci sono temi - attenzioni, mi verrebbe da chiamarle - quotidiani, nella vita di una classe: temi per i quali sviluppare appositi progetti sarebbe svilente, se non addirittura fuorviante.

È il caso, per quanto mi riguarda, della consapevolezza dell'identità, propria e altrui, e del riconoscimento e del rispetto della diversità. Mi sembra sempre talmente naturale che essi emergano nei frangenti più disparati da ritenere inutile dedicare loro luoghi, tempi e risorse specifiche.
Per noi, a scuola, è stato così fin dall’inizio: nel raccontare se stessi, quel che si è e quel che si sa fare, così come l’incompiutezza, la competenza non ancora raggiunta, il non saper fare.
La diversità, per noi, ha avuto anche il volto (i bambini dicono la faccia, che davvero in questo caso fatico a sostituire con muso) di Igor, il sorprendente protagonista dell’albo di Francesca Dafne Vignaga edito da Edizioni Corsare.




Igor si presenta addirittura con una carta d’identità, una data di nascita, il 24 ottobre (domani sarà il suo compleanno), una residenza e un’altezza ben precise, e, per finire, due segni particolari di sicura presa su bambine e bambini: molto peloso e spesso sorridente.

Di sé sa solo il nome.
Sa fare giochi di prestigio con fiori e semi.
Sa fischiare con le foglie di acacia.
Sa arrampicarsi sugli alberi, anche su quelli molto alti.

Igor sa fare, proprio come noi, alcune cose.

A Igor piace osservare cosa fanno gli animali: gli piace, come ad Anna, guardare le formiche cariche di provviste disposte in lunghe file.


Igor da qualche giorno è pensieroso.
Possibile che non abbia mai visto nessuno che gli somigli?
Forse da qualche parte c’è, bisogna solo cercarlo.
Forse è il momento di lasciare la sua casa e partire per un viaggio.





Comincia proprio da qui, da questa ricerca di qualcuno che gli somigli, il lungo viaggio di Igor: a bordo di una barchetta fatta con una scatola di cartone, e per vela una stoffa bianca a pois neri (Sono le mutande! hanno detto alcuni maschi in entrambe le classi), proverà via via a immedesimarsi con famiglie diverse, per trovare, alla fine, la propria identità e la propria realizzazione.

Grande, questo Igor!












Qui la bella recensione di Marina Petruzio per Luuk Magazine


giovedì 1 giugno 2017

Mallko e papà



A volte, come ai bambini, mi prende una sorta di urgenza; così, abbandono quel che stavo facendo per dedicarmi a ciò che mi sta chiamando.

In questo momento, la voce che mi chiama è quella di Gusti, in

Mallko e papà

  
di Gusti, Rizzoli


visto per la prima volta in Fiera a Bologna, e dalle Giannine, e comprato, come spesso mi accade con le cose belle, a La Cornice.

Mai come in questo caso l’urgenza mi sembra giustificata.

Ho letto questo libro ieri sera, per un progetto bello e nuovo a cui sto lavorando da qualche settimana, mentre già da qualche ora, senza aver minimamente fatto caso alla coincidenza, avevo infilato nella borsa Pina la mosca, dello stesso Gusti, da leggere questa mattina ai bambini di prima, cui avevo promesso le storie per ridere.

Così oggi, mentre facevo tutt'altro, ho pensato che le parole di Gusti, il cui secondogenito, Mallko, appunto, è nato con la sindrome di down, ci sono davvero necessarie, e ci fanno fare un bel bagno di realtà.
Perché non è vero che, come è accaduto ad Anne, la mamma di Mallko, sia per tutti facile, naturale -o peggio ancora, debba esserlo - accettare ciò che non è come lo avevamo immaginato.

Gusti, nella sua sincerità, è spietato: scrive, a caratteri cubitali, in doppia pagina e proprio all’inizio del suo libro NON LO ACCETTAVO. Usa le parole nel loro unico significato, quello crudo, quello vero. Ed è un pugno nello stomaco.

Ma nello stesso tempo immagino che sollievo possano rivelarsi, queste stesse parole gridate fin dall’inizio, per chi vive un sentimento simile con vergogna, e senso di colpa.
Perché non tutti siamo capaci di accettare quel che avviene nella nostra vita in modo diverso da come lo avevamo immaginato. E a volte avremmo bisogno di gridarlo, mentre facciamo finta che vada tutto bene, comunque.

E invece no, non va bene per niente. E non è per niente facile. Soprattutto se si tratta di tuo figlio.
A un certo punto, però, certo non in modo indolore, le difese crollano, allo stesso modo in cui prima era crollato il castello di Gusti: e in questo si rivelano determinanti le parole di Théo, il primogenito:

“Non mi importa
se è verde, rosso o blu,
argento, con i peli, o basso e cicciotto.
Per me sarà sempre
il mio fratellino preferito”.

Scrive Gusti:

“L’ho guardato e ho visto un saggio.
Questa è stata la prima lezione che ho imparato
da quando è nato Mallko.”

E ancora:

"Passato un po' di tempo
mi sono accorto che,
come per i disegni scartati...

lui va bene così com'è!

Non solo: mi sono accorto che nessuno è come lui.

Nessuno!

Per fortuna, mi sono detto, non l'ho strappato né cancellato.

Sì, lo so che sembra molto crudele.
Ma è la verità.

La mia verità.  



Le mie pagine preferite, e ce ne sono molte così, sono però quelle in cui Mallko non è un bambino con la sindrome di Down, ma solo, semplicemente, un bambino.

Mallko ha molti poteri.
Uno di questi è il raggio “congelante”.
Ti lancia un raggio che di solito è accompagnato
da un BUUU! o da un grido.
E tu sei congelato.
Una volta congelato devi aspettare che ti scongeli.
Il metodo più efficace è il bacio.
A volte prova con un altro BUUU!
ma se non funziona si avvicina
e ti dà un altro bacio che ti scongela.
Poi ricomincia daccapo (attenzione, il gioco può durare diverse ore).
A volte ti trasmette il potere di congelamento
e così sei tu che lo puoi congelare
e lui rimane con la testa bloccata di lato.

Gusti, Mallko e papà, Rizzoli