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Antonio
è tante cose, ma, prima di tutto, è figlio.
Così,
da quando Antonio è uscito, desideravo coinvolgere i genitori nel racconto dei
propri figli, dare loro la possibilità di mostrarceli attraverso uno sguardo
altro dal nostro: lo sguardo di chi per primi li ha pensati, voluti, amati.
Avevo
però una preoccupazione, che riguardava in particolare le famiglie provenienti
da altri Paesi: quanto sarebbe costato loro esprimere in una lingua diversa da
quella materna tutto ciò che avrebbero desiderato raccontare dei propri figli?
Forse
la soluzione è stata, semplicemente, il tempo dell’attesa: l’attesa che i loro figli
padroneggiassero la lingua italiana e la scrittura, e in alcuni casi potessero farsi
tramite tra loro e la scuola. Quante volte è già successo?
Non
una bambina, non un bambino è arrivato a scuola senza il compito svolto; tutti
si sono alzati e, a turno, hanno letto le parole che mamma, papà o entrambi
avevano pensato e scritto per loro. E mentre leggevano, ai compagni e ai
maestri, annuivano, sorridevano e ridevano; talvolta, addirittura, dissentivano.
Hanno
avuto la possibilità, ancora una volta, di parlare di sé; ma se prima l’avevano
fatto in prima persona, scrivendo uno tra i primi testi su traccia, in questo
caso hanno letteralmente dato voce ai loro genitori.
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