giovedì 12 novembre 2020

La mia scuola ha un nome da maschio

La mia scuola ha un nome da maschio: si chiama Goffredo Qualcosa. io però la chiamo scuola e quindi è femmina. Chissà che cosa fa quando non ci siamo. Chissà se rimane ferma tutto il tempo ad aspettarci. Noi no, noi ci muoviamo sempre e la mattina la troviamo al solito posto. Qualcuno arriva per primo, mentre gli altri entrano tutti insieme di corsa. C’è chi è in ritardo anche oggi e la scuola gli apre lo stesso il portone, ma è l'ultima volta.

I genitori la guardano da fuori, parlano sempre tra loro e vanno via; i maestri invece stanno lì e la vedono da dentro. Noi non ci fermiamo a guardare, mentre i bidelli ci dicono che non si corre per le scale.

La mia scuola è di quelle normali, con un cancello e i disegni appesi. Alcune invece sembrano torte, altri scarponi; ce ne sono fatte di terra, di pietra, di fango o di marmo. Ci sono scuole morbide e comode o dure che pungono. Strette e alte o basse e larghe. La scuola però può essere tutta diversa: a volte è un albero e basta, o una strada, o un muretto.

Susanna Mattiangeli – Agostin Comotto, La mia scuola ha un nome da maschio, Lapis

 

La mia scuola mi piace così tanto che il lunedì sono felice che inizi una nuova settimana. Di questi tempi, tutte le mattine mi sveglio e una delle prime cose che penso è: “Che fortuna, anche oggi possiamo andare a scuola!”.

La mia scuola ha un enorme giardino, in cui ci riversiamo all’intervallo e nel dopo mensa. Da settembre, non possiamo più mischiarci con le altri classi, così lo spazio è diviso a settori, ogni classe ha il proprio, ci gioca e lo colonizza, che vuol dire che ogni foglia, ogni sasso, ogni ago di pino, ogni insetto o lombrico è di proprietà di quella classe, e se per caso uno di un’altra classe fugge con un sasso o una foglia, ci sarà sempre qualcun altro che urla: “Ce l’ha rubato!”.

La maestra

 

Da quest’anno, a scuola, c’è una nuova materia: si chiama educazione civica e, si sa, non è nuova per niente, un po’ perché si faceva già anni e anni fa, ma, soprattutto, perché alcuni insegnanti la fanno tutti i giorni, a lungo, più volte al giorno.

La differenza? Che bisogna quantificarla (33 ore all’anno), giocarsela ai dadi tra docenti di diverse discipline, progettarla e, soprattutto, ahimè, valutarla.

E che differenza ci sarà tra la valutazione del comportamento e quella di educazione civica? Dovremo fare le verifiche, test di comprensione, a risposta multipla e/o aperta? E se uno/a mena il compagno ma conosce tutte le risposte, in educazione civica avrà dieci (o, pardon, eccellente)?

Insomma, i quesiti aperti sono molti, e naturalmente passeranno anni prima che si riesca a dar loro risposte sensate; nel frattempo, un’altra riforma ci arriverà tra capo e collo, tingendo di nuovo quel che, per molti, a tratti odora d’antico: e il profumo non è detto sia sempre gradevole.

In ogni caso, noi educazione civica la incominciamo da qui, dalla lettura di questo libro di Susanna Mattiangeli e Agustin Comotto. Perché, che la scuola sia un diritto, oltre che un dovere, tocca proprio tenerlo a memoria…

 


 

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