A volte vorrei essere un
ragioniere. Lavorare con i numeri, avere come unico obiettivo far tornare i conti.
Confrontarmi anche con conti che non tornano, non dico di no; dover trovare il
modo per rimettere al loro posto tutte le cifre, spendendoci pure un sacco di
tempo. E poi, però, dormire sonni tranquilli.
Perché i numeri non hanno
mal di pancia. I numeri non ti guardano
con occhi che vorresti saper leggere, non fanno facce strane perché non
hanno capito. I numeri non vengono esclusi. Non osservano i compagni con
sguardi a metà tra invidia e ammirazione. A volte, con sofferenza. I numeri non
si sentono poco importanti. Non pensano di valere meno degli altri, solo perché
corrono meno veloci, non sono vestiti all’ultima moda, non ricordano il congiuntivo
trapassato. I numeri non hanno genitori da rassicurare, da contenere, da blandire,
a cui chiedere più o meno attenzione. I numeri non si muovono, non si fanno male,
non si picchiano. I numeri non fanno sciocchezze da bambini, di quelle
sciocchezze che paiono, appunto, solo sciocchezze, per poi trascinarsi dietro
litigi, pianti, recriminazioni. I numeri non devono chiedere scusa, perdonare,
dimenticare, fare finta che non sia successo niente anche se hanno il cuore
spezzato. I numeri non perdono le persone che sono loro care. I numeri non
sanno cosa sono la morte e l’abbandono. I numeri non hanno occhi che fanno di
tutto per trattenere le lacrime, mentre tu non sai cosa dire. I numeri non
fanno la cosa sbagliata, sapendo già che è sbagliata, e che verranno
rimproverati per questo. I numeri non cercano la tua attenzione. I numeri non
ti fanno sentire inadeguata.
Però poi penso che i numeri
neppure ridono. E nemmeno giocano a calcio, e a palla avvelenata. Non ti
prendono in giro perché in mensa ci sono, ancora, gli spinaci. I numeri non ti
raccontano le loro storie. Non ti abbracciano al mattino, quando arrivi. Non ti
regalano disegni e poesie. Non scrivono frasi che fanno commuovere, arrabbiare,
sorridere o ridere fino alle lacrime. Non leggono Porci al posto di Proci,
scatenando il delirio. Non ridono alle tue battute, e tu non puoi ridere alle
loro. Non fanno disegni magnifici, da lasciarti ammutolita. Non rimangono in
maniche corte, in giardino, il 15 dicembre. Non si sdraiano per terra, incuranti
del freddo, del fango, della pioggia. Non ti ascoltano leggere con gli occhi
spalancati e in un silenzio che ha del miracoloso. Non ti guardano come se
avessero capito tutto, o come se fossi tu, quello che ha capito tutto.
I numeri hanno valore a
seconda del posto in cui li metti. E allora – penso – forse quel che più conta
è aiutare chi numero non è a trovare il posto in cui dimostrare tutto il
proprio valore.
E, quando i conti non
torneranno, prendere un bel respiro e ricordarsi che i bambini non sono numeri.
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