Osservo il coccodrillo in
copertina: non posso neppure affermare che mi guardi beffardo, consapevole
della mia inettitudine a raccontar di libri quando di mezzo non ci sono dei bambini,
dei ragazzi, a cui li abbia letti.
Che poi, leggerli. Ma come
si fa a leggere un libro senza parole? Una maestra, poi, pagata per parlare, da
mattina a sera, e che delle parole, oltre che fonte del proprio sostentamento,
ha fatto una passione?
Chi mi conosce lo sa bene.
Io e i silent non ci frequentiamo granché. Mi sembra sempre manchi qualcosa.
Già, mancano le parole.
Eppure, a pensarci bene, le
parole ci sono anche là, dove non sono scritte. Sono state nella mente di chi
ha pensato la storia (in questo caso, Giovanna Zoboli). E poi, scritte per chi
questa storia avrebbe dovuto illustrarla, Mariachiara Di Giorgio. Ancora, le
parole sono dentro di noi, di fronte ad ogni immagine, mentre, in silenzio o ad
alta voce, la storia ce la raccontiamo, o la raccontiamo ad altri, o da altri
ce la facciamo raccontare. E, ad osservar bene, ci sono parole scritte dentro
le tavole: il suono della sveglia
la porta che si chiude, i rumori della città
che, con linee sinuose, corrono sopra e sotto il cavalcavia.
E poi, le parole
delle insegne, dei cartelloni pubblicitari, delle fermate del metrò.
Quante
parole ci stanno, dentro un vagone della metropolitana?
E cosa chiederà, il
coccodrillo, alla fioraia?
E, se ancora ci mancassero
le parole, ce ne sono scritte anche in lingue diverse: in arabo, ad esempio.
Poi, uno slargo. Lì,
immagino le parole prendere il volo. Certo, non ne hanno bisogno, almeno per il
momento, i due che si baciano sulla panchina. Ma dopo, oh, dopo sì che serviranno.
E quante…
Il coccodrillo sembra giunto
a destinazione. Il cancello è aperto, e una ragazza fortunata riceverà i suoi
fiori.
A questo punto, davvero le
parole non servono più.
Il gran finale è arrivato.
Qui la versione di Scaffale Basso
Qui la versione delle Briciole
Qui, il libro raccontato dalla sua autrice.
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