Qualche tempo fa, scrissi un
post dal titolo È faticoso, essere maestr* in quinta, in cui raccontavo gioie e
dolori di un anno speciale, l’ultimo con le ragazze e i ragazzi che per cinque anni hanno fatto parte solida, quotidiana e impegnativa della mia vita da insegnante.
Non avevo ancora però, in quel
periodo, fatto i conti con un’ulteriore fatica, tipica di questi ultimi mesi di
scuola: una sorta di sdoppiamento che vede gli insegnanti di quinta ancorati in
un presente denso, ma con lo sguardo talvolta -spesso- proiettato nel futuro.
Quel futuro che prenderà forma, a settembre, in un numero variabile di alunni
nuovi di zecca, in tutto e per tutto diversi da chi ha appena lasciato loro
posto: nello spazio fisico, negli impegni e nei pensieri degli insegnanti.
Uno dei segni più evidenti di
questo sdoppiamento è dato dalle mie letture. Gli albi per i più piccoli tornano
a farla prepotentemente da padrone, nel segno di quella che è per me croce e
delizia: la difficoltà di leggere un libro per il semplice piacere di farlo, con la tentazione quasi totalizzante di non frenare nessuna tra le idee che spesso prendono corpo riguardo il suo utilizzo in classe.
La didattica, certo. Che per
un insegnante, insieme alla pedagogia, fa da sfondo costante ad ogni scelta. Ma
che, nel caso degli albi e dei libri per ragazzi, rischia di soverchiarne la gratuità, e il senso più profondo.
Eppure oggi, di nuovo,
mentre leggevo questo magnifico libro di Terre di mezzo
Björn Sei storie da
orso
di
Delphine Perret, Terre di mezzo
pensavo a quelle piccoline e a quei piccolini ancora quasi completamente sconosciuti, che mi aspettano, che ci
aspettano. E non ho potuto fare a meno di esultare di fronte a tanta bellezza:
per il suo valore intrinseco, e per ciò che ne verrà. E intanto però pensavo anche alle mie
e ai miei grandi: perché questo albo è davvero un meraviglioso ponte, che fa
dialogare protagonisti diversi, come diversi possono essere i piani di lettura,
e dunque le età, e le storie, dei lettori.
L’illustrazione al tratto, nitida
ed essenziale sulla pagina verde, dialoga intimamente e di continuo con il
testo, scritto in un font stampato maiuscolo che mi appare di facile lettura.
E già dalla prime pagine, le domande si affacciano alla mente.
Come incomincia:
Björn abita in una caverna
Le
pareti sono lisce.
Il
pavimento è comodo.
E
proprio davanti all’ingresso
ci
sono un prato di erba tenera
e
un albero dal tronco rugoso
perfetto
per grattarsi la schiena.
Chi non vorrebbe una casa
così? Pareti lisce, pavimento comodo, un prato d’erba tenera e un albero dal
tronco rugoso. Anch’io, se fossi un orso…
Björn ha anche
una
cassetta
delle
lettere
e
ogni tanto
riceve
qualcosa
per
posta.
Come
per esempio il foglio tutto colorato
che
è arrivato stamattina e gli dice
“Congratulazioni!”
a lettere maiuscole.
Björn legge
e
scopre di aver vinto
un
divano a tre posti
con
doppia imbottitura,
e
che il divano
gli
cambierà la vita,
gli
regalerà la felicità.
Perbacco! Un divano gli
cambierà la vita, gli regalerà la felicità. Possibile?
Eppure noi grandi lo
sappiamo: quanti divani rossi ci hanno “regalato”, o abbiamo acquistato, nell’illusione
della felicità, o di un cambiamento, nella nostra vita?
Björn non è convinto.
Quel
divano, secondo lui, è troppo morbido.
E
poi occupa tutto lo spazio.
Lo spazio, che prima era
vuoto, libero, ora è ingombro.
Björn ha l’aria piuttosto infelice, a
dire il vero.
E
la cincia se n’è accorta.
Forse, si può essere felici anche senza un divano rosso.
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