Rileggo un post di due anni fa, a fine
scuola, dal titolo “Non mi sento una privilegiata”, e mi viene voglia di
riadattarlo.
La scuola sta per iniziare.
Tra i tanti privilegi degli insegnanti,
ce n’è uno che pochi ci perdonano: le lunghe vacanze estive.
Eppure, non mi sento una privilegiata.
Non mi sento una privilegiata, perché faccio un lavoro dove non è previsto un manuale d'istruzioni. Un lavoro dove spesso devi adeguare i tuoi interventi uno ad uno, a seconda della bambina o del bambino che hai di fronte in quel preciso istante, della sua personalità e dei suoi bisogni.
Non mi sento una privilegiata perché in
questo istante non so quasi nulla delle bambine e dei bambini che fra pochi
giorni, quasi ogni giorno, mi troverò di fronte. E, fin da subito, ci verrà chiesto
di relazionarci con ognuna e ognuno di loro nel modo più equilibrato,
rispettoso, efficace possibile, come se li conoscessimo da sempre.
Non mi sento una privilegiata, perché temo
i miei errori molto più dei loro, e perché so che gli errori di un insegnante
(non ho dimenticato l’apostrofo, ci sono pur sempre i maestri), anche i più lievi,
anche quelli compiuti in assoluta buonafede, rischiano sempre di produrre disagio
e sofferenza in chi, dal disagio e dalla sofferenza, dovrebbe essere maggiormente
protetto.
Non mi sento una privilegiata perché credo esistano almeno 28 modi diversi d'imparare, e probabilmente possono stare tutti all'interno di una sola classe. Quel che non so, è come far convivere i 28 diversi modi di insegnare che forse sarebbero, all’interno della stessa classe, necessari.
Non mi sento una privilegiata quando
sento, fortissima, la responsabilità di ogni parola che dico dentro le nostre
aule, perché ci sono n° paia d’orecchie ad ascoltarle, a pesarle, a ripensarle,
magari al chiuso di una cameretta o discutendo con gli amici.
Non mi sono mai sentita una privilegiata
quando durante il giorno, la sera prima di dormire, e spesso anche il mattino
appena sveglia, ho pensato a come e cosa avrei potuto fare, di più e meglio.
Quando mi sono ripetuta: avrei dovuto, avrei potuto…
Non mi sono mai sentita una privilegiata
quando con le colleghe abbiamo cercato i modi meno dolorosi (e meno definitivi,
perché avremmo pur sempre potuto sbagliarci) per dire a un genitore, o scrivere
in un documento di valutazione, che il suo bambino, la sua bambina, l’essere
più prezioso che avesse al mondo, aveva delle difficoltà. Non mi sento una
privilegiata quando mi chiedo (lo faccio ancora adesso, a quinte concluse da
mesi) se ho fatto davvero tutto quel che potevo perché queste difficoltà
fossero superate.
Non mi sono mai sentita una privilegiata
quando a fine anno mi dibattevo tra un 7 o un 8, mentre immaginavo
l’espressione della bambina o del bambino che avrebbe letto quel voto, e al
suo viso triste o deluso.
Non mi sono mai sentita una privilegiata
quando uscivamo da scuola con 53 bambini, e pensavo a tutto quel che sarebbe
potuto succedere, e ho passato le ore a contarli, per assicurarmi che non ne
mancasse neppure uno.
Non mi sono mai sentita una privilegiata
quando, per andare in bagno, dovevo chiamare i collaboratori perché stessero
con i bambini, garantendone la sicurezza e l’incolumità.
Non mi sono sentita una privilegiata in molti fine settimana degli ultimi anni, mentre la maggior parte della popolazione attiva staccava dal lavoro, e io, come molti colleghi, correggevo 54 testi e riguardavo altrettante verifiche di grammatica. Ma tanto lavorate solo 24 ore a settimana, fate tre mesi di vacanza d’estate e quindici giorni a Natale.
Non mi sento una privilegiata, dunque.
E a chi pensa che io lo sia, chiedo
sempre: “Ma perché non hai fatto anche tu l’insegnante?”
C'è un solo motivo per cui mi sento una privilegiata: perché faccio un lavoro che amo. Ma per questo, non occorre essere insegnanti.
C'è un solo motivo per cui mi sento una privilegiata: perché faccio un lavoro che amo. Ma per questo, non occorre essere insegnanti.
(immagini tratte da "Come funziona la maestra" di Susanna Mattiangeli e Chiara Carrer, Il castoro)
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