Le
parole scappate
di Arianna Papini, Coccole e Caccole
Il racconto a due voci
di un legame tanto stretto quanto sottoposto ai tradimenti delle
parole: quelle della nonna, che la memoria si ostina a nascondere,
come i ricordi, e quelle scritte, che il protagonista bambino fatica
a leggere e interpretare.
Come incomincia:
La
solitudine del cuore
Non
so chi sono. Ma sono viva.
Ho
molti anni, credo. Le persone di questa famiglia mi pare di
conoscerle a volte. Ci sono una donna e un uomo, lui tanto bello non
è. Lei invece mi è più familiare, mi ricorda qualcosa.
Quando
chiedo: -Chi siete?
Mi
rispondono: -Dai, nonna falla finita!
Se
la faccio finita non ci sono più.
Sono
persa, non trovo la mia storia da nessuna parte.
Vado
d'accordo col gatto. Lui siede sulle mie gambe stanche e fa il pane
con le unghie, mi sembra un gatto maschio.
Mi
sveglia dal torpore. Queste parole che penso non so quasi mai dirle,
mentre le immagino se ne vanno.
Non
so i nomi di queste persone.
C'è
un bambino. Quello sì, lui mi dà gioia. Siede al tavolo di cucina e
beve il latte con dentro dei biscottini marroni. Quell'odore mi porta
a una cosa che non so cos'è. Come tutti gli altri odori. Vorrei
ricordare, ma resto nel silenzio profondo senza immagini e senza
memoria.
Da
quando è iniziata la scuola, tre anni fa, la mia vita è parecchio
difficile. Sono diverso dagli altri bambini, forse.
Sto
sempre fuori dal gruppo.
Le
maestre all'inizio mi sgridavano perché le cose fatte un momento
prima se ne andavano dalla testa, come se non fossero esistite mai.
Poi
è stato peggio.
Pensano
che non posso capire, che non ce la faccio, Eppure le parole le vedo,
una alla volta. Non so metterle insieme, mi si confondono negli
occhi, mi spariscono nella testa e alla fine non le trovo più. E
allora balbetto oppure mi prende la solitudine del cuore.
Nelle
pagine, lì le parole sono nere, fredde e sconosciute. Mi fanno
paura, sono cattive e misteriose.
PAPINI
A., Le parole scappate, Edizioni Coccole e caccole
Mi
soffermo sulle parole del bambino. Mi feriscono, dalla prima
all'ultima.
Da
quando è iniziata la scuola, tre anni fa, la mia vita è parecchio
difficile. Sono diverso dagli altri bambini, forse.
Sto
sempre fuori dal gruppo.
Quante
volte la scuola rende la vita difficile a un bambino?
Perché
un luogo che dovrebbe essere di crescita serena diventa problematico,
denso di insidie e difficoltà?
Le
maestre all'inizio mi sgridavano perché le cose fatte un momento
prima se ne andavano dalla testa, come se non fossero esistite mai.
Capita,
credo a tutti:
-L'ho
appena spiegato, sta' più attento!”
-Come
puoi già essertene dimenticato?
-Ma
è facile, l'abbiamo detto/fatto tante volte!
Poi
è stato peggio.
Pensano
che non posso capire, che non ce la faccio.
Eccolo,
il rischio peggiore: dare per scontato che un bambino non capisca,
che non possa farcela. Sgombrargli il campo da ogni seppur minima
difficoltà, dagli ostacoli che, superati, permettono di progredire.
Sostituirsi al bambino, mettersi al suo posto, per far prima e
meglio.
Eppure
le parole le vedo, una alla volta. Non so metterle insieme, mi si
confondono negli occhi, mi spariscono nella testa e alla fine non le
trovo più. E allora balbetto oppure mi prende la solitudine del
cuore.
Nelle
pagine, lì le parole sono nere, fredde e sconosciute. Mi fanno
paura, sono cattive e misteriose.
Un
libro per ricostruire l'amicizia con le parole, dette e scritte.
Perché non siano più fredde e sconosciute, ma amiche fedeli per
tutta la vita.
Qui l'intensa recensione di Marina Petruzio.
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