Da qualche anno (dopo i quaranta, credo) mi sono
accorta di avere un’esigenza, più volte ripetuta e mai realizzata: rallentare,
fare meno e meglio, cercando soprattutto di imparare a dire qualche no e
scegliere quel che davvero mi riempie di gioia…perché, ne sono convinta, se
riusciamo a fare qualcosa che ci piace davvero tanto, diventiamo più buoni e
simpatici con tutti.
Forse è per questo che La leggerezza perduta, scritto da Cristina Bellemo, illustrato da Alicia Baladan e pubblicato da Topipittori, ha conquistato di diritto un posto d’onore nella mia libreria.
C’era
una volta, tanto tempo fa, un castello. Un castello di quelli che c’erano una
volta, per l’appunto. Dentro al castello ci stava un borgo intero e a capo del
borgo, e anche del castello, come si conviene, stava un re. Ma a guardarlo
bene, quello non era mica un castello come gli altri.
Comincia
così questo apologo in forma di fiaba che racconta la storia di un re alle
prese con un problema di un certo peso: come far tornare leggero il suo regno
sommerso da cose stupide, ingombranti e futili. Una storia per scoprire il
significato di concetti indispensabili, come “crescita sostenibile”, “crisi
economica”, “utile e superfluo” E per imparare a riconoscere quel che serve
davvero per vivere felici. (dal
sito http://www.topipittori.it/it/catalogo/la-leggerezza-perduta)
Mi è capitato tempo fa di proporre la lettura di
questo albo in un contesto extrascolastico, ad una platea di una
quarantina di genitori con rispettivi figli:
tutti silenziosi e attenti, anche i più piccoli, per i quali qualche
passaggio del testo può risultare meno immediatamente comprensibile.
Lo scopo della lettura era creare, in particolare nel pubblico adulto, la sensazione di aver ricevuto qualcosa in dono: la possibilità di ascoltare una fiaba, come da piccoli, dieci minuti di sospensione dal caos e dalla fatica della vita quotidiana, lo stimolo a riflettere su quanto spesso questa nostra vita sia letteralmente zeppa di ciò che non ci serve, che ci appesantisce, che rischia di farci precipitare.
Lo scopo della lettura era creare, in particolare nel pubblico adulto, la sensazione di aver ricevuto qualcosa in dono: la possibilità di ascoltare una fiaba, come da piccoli, dieci minuti di sospensione dal caos e dalla fatica della vita quotidiana, lo stimolo a riflettere su quanto spesso questa nostra vita sia letteralmente zeppa di ciò che non ci serve, che ci appesantisce, che rischia di farci precipitare.
L’ho detto altre volte: non ho le competenze per
scrivere una recensione, neppure di un libro che esprime in modo mirabile una
verità profondissima. Ma posso dire, e scrivere, che questo libro va letto, per
se stessi e per gli altri, piccoli o grandi che siano. Perché ognuno
di noi ha sicuramente qualcosa di cui liberarsi, come il re della storia.
Mi è molto
simpatico, re Celeste 123. Perché non esita un istante a sbarazzarsi della
corona. Pensateci bene: non si può vivere con una corona in testa. Non ci si
può piegare (ma forse i re non ne hanno bisogno), né lavare, né sdraiarsi per
dormire o guardare che forma hanno le nuvole. Non si può giocare a palle di
neve, farsi leccare la faccia dal proprio cane, lanciarsi col paracadute o
tuffarsi da uno scoglio…
Come incomincia:
C'era una volta, tanto tempo fa, un castello. Un castello di quelli che c'erano una volta, per l'appunto.
Detro al castello ci stava un borgo intero e a capo del borgo, e anche del castello, come si conviene, stava un re.
Ma a guardarlo bene, quello non era mica un castello come gli altri.
Il fatto è che stava appoggiato su una nuvola: proprio così, e da sempre. Lì sospeso nel cielo, come fosse fatto di nuvola pure lui. Invece era un castello vero, di sassi e mattoni, di totti e bastioni, di merli, merletti e garitte. E c'era anche il ponte levatoio che quando s'apriva, com'è ovvio, si posava nell'aria, sul niente.
Dietro ai merli stavano i cammini di ronda, su cui passeggiavano i soldati, sempre attenti, dentro l'elmo e l'armatura e dietro lo scudo, che non comparisse all'orizzonte qulache nemico.
In verità, l'orizzonte non c'era, lì, stava molto più in basso, e di nemici non se n'era visto mai uno, né uno straccio di assedio: niente di niente,calma piatta.
In effetti, chi darebbe l'assedio a un castello adagiato su una nuvola? Forse dei cavalieri alati, ma si vede che avevano altro da fare, perché lì non se n'erano mai presentati, nemmeno uno che giungesse a movimentare un po' quei turni di guardia così inutili e noiosi.
Solo qualche rondine, ogni tanto, i accostava ai merli. D'altra parte, tra volatili ci si capisce al volo.
BELLEMO C. - BALADAN A., La leggerezza perduta, Topipittori
Come incomincia:
C'era una volta, tanto tempo fa, un castello. Un castello di quelli che c'erano una volta, per l'appunto.
Detro al castello ci stava un borgo intero e a capo del borgo, e anche del castello, come si conviene, stava un re.
Ma a guardarlo bene, quello non era mica un castello come gli altri.
Il fatto è che stava appoggiato su una nuvola: proprio così, e da sempre. Lì sospeso nel cielo, come fosse fatto di nuvola pure lui. Invece era un castello vero, di sassi e mattoni, di totti e bastioni, di merli, merletti e garitte. E c'era anche il ponte levatoio che quando s'apriva, com'è ovvio, si posava nell'aria, sul niente.
Dietro ai merli stavano i cammini di ronda, su cui passeggiavano i soldati, sempre attenti, dentro l'elmo e l'armatura e dietro lo scudo, che non comparisse all'orizzonte qulache nemico.
In verità, l'orizzonte non c'era, lì, stava molto più in basso, e di nemici non se n'era visto mai uno, né uno straccio di assedio: niente di niente,calma piatta.
In effetti, chi darebbe l'assedio a un castello adagiato su una nuvola? Forse dei cavalieri alati, ma si vede che avevano altro da fare, perché lì non se n'erano mai presentati, nemmeno uno che giungesse a movimentare un po' quei turni di guardia così inutili e noiosi.
Solo qualche rondine, ogni tanto, i accostava ai merli. D'altra parte, tra volatili ci si capisce al volo.
BELLEMO C. - BALADAN A., La leggerezza perduta, Topipittori
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