La scuola sta per finire.
Tra i tanti privilegi
degli insegnanti, ce n’è uno che pochi ci perdonano: le lunghe vacanze estive.
Eppure, non mi sento una
privilegiata.
Non mi sento una privilegiata, perché faccio un lavoro dove non è previsto un manuale d'istruzioni. Un lavoro dove spesso devi adeguare i tuoi interventi uno ad uno, a seconda del bambino che hai di fronte in quel preciso istante e dei suoi bisogni.
Non mi sento una privilegiata perché credo che esistano almeno 28 modi diversi d'imparare, e probabilmente possono stare tutti all'interno di una sola classe.
Non mi sento una privilegiata, perché faccio un lavoro dove non è previsto un manuale d'istruzioni. Un lavoro dove spesso devi adeguare i tuoi interventi uno ad uno, a seconda del bambino che hai di fronte in quel preciso istante e dei suoi bisogni.
Non mi sento una privilegiata perché credo che esistano almeno 28 modi diversi d'imparare, e probabilmente possono stare tutti all'interno di una sola classe.
Non mi sento una
privilegiata quando durante il giorno, la sera prima di dormire, e spesso anche
il mattino appena sveglia, penso a come avrei potuto fare di più, al perché di
alcune enormi fatiche relazionali (soprattutto con le famiglie), a cosa potrei
fare ancora perché ogni bambino possa stare meglio a scuola.
Non mi sento una
privilegiata quando sento, fortissima, la responsabilità di ogni parola che
dico dentro quelle due aule, perché ci sono 54 paia d’orecchie ad ascoltarle, a
pesarle, a ripensarle, magari al chiuso di una cameretta o discutendo con gli
amici.
Non mi sento una
privilegiata quando cerco, insieme alle colleghe, i modi meno dolorosi (e meno definitivi,
perché potremmo pur sempre sbagliarci) per dire a un genitore, o scrivere in un
documento di valutazione, che quel bambino, l’essere più prezioso che per un
genitore ci sia al mondo, ha delle difficoltà. Non mi sento una privilegiata
quando mi chiedo, sempre più spesso, se ho fatto davvero tutto quel che potevo
perché queste difficoltà fossero superate.
Non mi sento una privilegiata
quando a fine anno mi dibatto tra un 7 o un 8, mentre immagino l’espressione del bambino
che leggerà quel voto, e ad
un viso triste o deluso.
Non mi sento una
privilegiata quando esco dalla scuola con 26/28 bambini, e penso a tutto quel
che potrebbe succedere, e passo le ore a contarli, per assicurarmi che non ne
manchi nemmeno uno.
Non mi sento una
privilegiata quando, per andare in bagno, devo chiamare la bidella perché stia
con i bambini, garantendone la sicurezza e l’incolumità.
Non mi sono sentita una privilegiata ieri, mentre la maggior parte della popolazione attiva staccava dal lavoro, e io, come molti colleghi, correggevo 54 testi e riguardavo altrettante verifiche di grammatica.
Non mi sono sentita una privilegiata ieri, mentre la maggior parte della popolazione attiva staccava dal lavoro, e io, come molti colleghi, correggevo 54 testi e riguardavo altrettante verifiche di grammatica.
Non mi sento una
privilegiata, dunque.
E a chi pensa che io lo
sia, chiedo sempre: “Ma perché non hai fatto anche tu l’insegnante?”
C'è un solo motivo per cui mi sento una privilegiata: perché faccio un lavoro che amo. Ma per questo, non occorre essere insegnanti.
C'è un solo motivo per cui mi sento una privilegiata: perché faccio un lavoro che amo. Ma per questo, non occorre essere insegnanti.
Un libro ironico, poetico
e delicato, per spiegare ai bambini, ma soprattutto alle maestre stesse, alcune
caratteristiche tanto fondamentali quanto irrinunciabili dell’oggetto “maestra”.
Una strana categoria, che
accomuna donne giovani e anziane, piene di energia e stanche, impetuose e
riflessive, quiete e vulcaniche...
Donne che hanno scelto di
fare dell’educazione, prima ancora che dell’insegnamento, la loro vita quotidiana,
e che fanno la scuola anche quando non sono a scuola.
Come incomincia:
La
maestra ha una parte davanti, che è quella che si vede di solito, e una parte
dietro, che si vede quando si gira.
Sopra
la maestra c’è il soffitto della classe, o il cielo quando è all’aperto. Sotto
la maestra c’è il pavimento, o la ghiaia, o la strada. Intorno alla maestra ci
sono i bambini, a volte in fila, a volte in cerchio, in piedi o seduti.
Ci
sono maestre lunghe o maestre corte. Maestre larghe oppure sottili. Una maestra
piccola non è mezza maestra, così come una molto grande non vale doppio.
Le
maestre possono avere colori molto diversi. Possono essere scure, chiare,
ricce, lisce, a pallini, a fiori, a spirali, a scacchi e in varie fantasie.
Sulla maestra a righe si scrive. Sulla maestra a quadretti si fanno le
operazioni. Possono avere molti o pochi vestiti. Sotto al vestito la maestra è
tutta nuda. La maestra a volte è un maschio. Anche lui ha forme e colori
diversi e anche lui si veste e si spoglia.
Dentro
la maestra ci sono i numeri, le tabelline, i fiumi, i monti, l’orologio, i
cinque sensi, l’uomo primitivo e tante altre cose che a poco a poco finiscono
anche dentro ai bambini.
Nelle
giornate buone, la maestra fa entrare nei bambini quello che serve senza
perdere niente per strada, né restare svuotata del più piccolo aggettivo.
Se
una maestra manca, si fa una sottrazione. Se arriva una maestra nuova, si fa un’addizione.
Tutte le maestre e i maestri del mondo andrebbero divisi per tutti i bambini
del mondo. Quando non ci sono abbastanza maestre allora bisogna moltiplicarle.”
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