Sono
una profana, e forse sto dicendo una bestialità, ma la copertina di questo
albo
illustrato con delicatezza dal giovane e talentuoso Philip Giordano (qui http://www.philip-giordano-pilipo.com/ il suo blog), mi ha fatto immediatamente pensare a “L’albero della vita “ di Klimt.
illustrato con delicatezza dal giovane e talentuoso Philip Giordano (qui http://www.philip-giordano-pilipo.com/ il suo blog), mi ha fatto immediatamente pensare a “L’albero della vita “ di Klimt.
Per
quest’opera ho una predilezione legata, come spesso mi accade, a momenti
significativi passati con i miei ormai ex alunni e a un’attività che ha saputo
stimolare passione e impegno e produrre risultati talvolta inattesi. Irrazionalmente non
ho potuto fare a meno di pensare che con questo libro sarebbe avvenuto lo
stesso.
Proprio
questa mattina, con la mia amica Daria, che come me avrà le
prime a settembre, ci si chiedeva “Con cosa iniziamo?”. Una risposta è stata: “Forse con la A di albero: mi sembra che ci sia così tanto, dentro…”
Ecco,
nel pomeriggio, una possibile concretizzazione di questa risposta, ricca di significato come solo a volte
ciò che è casuale riesce ad essere: Chissadove, una storia perfetta per i
bambini, pensati dalla prima alla quinta, e tanto più per i genitori, che ce li
affideranno per cinque anni…Proprio di fiducia si parlava ieri.
I
piccoli semi di un albero sono impazienti di crescere e diventare a loro volta
alberi, per poter finalmente parlare. Ognuno di essi vola via, chi lontano, chi
vicino vicino, chi forse a chissadove.
Tutti
tranne uno, che rimane attaccato all’albero. “Solo per un giorno!”, dice l’albero
all’inizio, ma i giorni passano, e di motivi per non staccarsi l’albero e il
seme ne trovano in quantità. Finché un mattino, una gazza…
Come
incomincia:
In mezzo alla collina c’era
un albero ricco di piccoli semi che crescevano silenziosi e impazienti di
diventare alberi per poter un giorno parlare.
Per dire buongiorno”, “buonasera” e persino “precipitevolissimevolmente”…
Beh,
forse non tutti ci riusciranno.
Un giorno fiorito arrivò
il vento che accarezzò i rami e l’albero salutò i piccoli semi che iniziarono
così il lungo viaggio per chissadove.
Per diventare alberi c’è
chi volò al caldo sud,
c’è chi volò al freddo
nord,
c’è chi volò, vicino
vicino, dentro un vaso su un balcone.
E c’è chi andò, lontano
lontano, forse a chissadove.
“Oh…” disse l’albero
quando vide un piccolo seme attaccato alla sua chioma: “Sei ancora qui? Se non ti sbrighi perderai il vento!”
Ma il piccolo seme non si
mosse. “Se non ti sbrighi perderai i
tuoi amici!”.
Niente, il piccolo seme
non si mosse.
Perché
forse, riflettevo, al primo incontro con i genitori, prima ancora di parlare
del materiale, dell’organizzazione della giornata scolastica o delle regole, è necessario
parlare di questi “semi”, che vengono affidati alla scuola, agli insegnanti,
per tanta parte di tante giornate; perché se non c’è la necessaria fiducia, e
la necessaria capacità di separare, e separarsi, per alcune ore, per il tempo
passato in un ambito diverso da quello domestico, in un ambiente dove legami e
dinamiche relazionali cambiano (e io genitore mi devo fidare se l’insegnante mi
dice che mio figlio a scuola si comporta in un modo che io non riconosco…),
tutto diventa più difficile, faticoso, a volte insormontabile. Perché se io
insegnante non parlo occhi negli occhi con ogni genitore, fidandomi di lui e chiedendogli
di fidarsi di me, della mia professionalità, del mio buonsenso, della buonafede
con cui talvolta commetterò gli inevitabili errori (di cui chiederò scusa per
primi ai bambini), allora mi manca quella capacità di educare educandomi, di
tirare fuori da ogni bambino il meglio che può dare, chiedendo l’identica cosa
a me stesso.
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