Mi capita spesso di
pensare che molto di quel che la scuola deve insegnare ai bambini, possa essere
fatto attraverso la poesia. Non so se stia diventando una mia fissazione da
vecchia maestra, ma mi pare che l’ortografia, la grammatica, la sintassi, il
lessico, la comprensione, ma anche il ritmo, la musicalità, la cura, il piacere
per la bellezza, passino a volte necessariamente attraverso questa forma
espressiva talmente completa da bastare a se stessa, e da contenere in sé
tutto ciò che serve per imparare a padroneggiare e a manipolare in modo
efficace una lingua.
A scuola abbiamo affrontato l’argomento nomi comuni, e da lì gli articoli determinativi, e poi
l’apostrofo: parlare dell’acqua è stato naturale come berne un sorso, e subito
il pensiero è corso alle poesie costruite intorno e dentro l’acqua.
Ho trovato la prima dentro
un libro consigliato a suo tempo dalla maestra di mio figlio:
101 filastrocche e
raccontini di campagna per scoprire la natura, di Sophie Arnould, Einaudi ragazzi
la seconda, invece, nel
libro forse più lirico di Roberto Piumini, Io mi ricordo quieto patato, Nuove Edizioni Romane
Ho utilizzato entrambe
per far scoprire ai bambini cosa fa l’acqua (la seconda poesia è stata
addirittura selezionata tra una decina lette in classe perché ritenuta più adatta di altre):
abbiamo sottolineato le risposte contenute nei versi di entrambe
per poi riscriverle, aggiungendone di nuove
e scoprire che le azioni
in grammatica si chiamano verbi.
Tutto questo conversando
con bambini di 7 anni di allitterazioni, versi, strofe, ispirazione…
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