mercoledì 14 marzo 2018

Mercoledì al cubo: Una storia grande come la mano


Anne Herbauts ci ha da tempo abituati a libri inconsueti, spiazzanti, che lasciano ampio spazio all’immaginario. Ci si sente liberi, leggendo i suoi libri: così liberi che, a volte, può capitare di sentire la mancanza di una mano salda che accompagni e di una voce autorevole che spieghi.

Una mano grande come quella che dà il titolo all’albo

Una storia grande come la mano

di Anne Herbauts, Gallucci



Come incomincia:

“Una storia grande come la mano, 
allora sono cinque storie!”
esclamò il bambino, mostrando le dita. 
“Chissà, chissà, 
dipende tutto da come le conti”
disse Tigre.



E qui, fin da subito, il primo dei tanti richiami avvertiti fin dalla lettura iniziale: una tigre, anzi, una Tigre con la maiuscola, come quella piccola Tigre di Janosch che accompagna piccolo Orso nelle sue avventure quotidiane, in Oh, com’è bella Panama!, Kalandraka. O come la tigre di Calvin e Hobbes, viva e pensante nella vita a due con il piccolo protagonista, e improvvisamente inanimata all’apparire dell’adulto. E, ancora, Una tigre all’ora del tè, di Judith Kerr, Mondadori. Quante tigri benevole, nella letteratura per l’infanzia.

Il bambino, invece, “aveva la fortuna di avere un nome che cominciava con una Y.

Y. Come un ramo.
Un ramo nel nome. Lo chiamavano anche Piccolo Ramo.
Forse perché abitava sul limitare della foresta?”


È una strana foresta, quella di cui si parla: perché da essa, ogni notte, una marea risale e poi si ritrae, svaporando con un gusto di spuma, che par di sentir sulle labbra.

Un mattino, il dono portato dalla marea è un paio di stivali rossi. Perfetti per addormentarcisi, e sognare di camminare.
Mentre leggo, un nuovo richiamo: a Un grande giorno di niente, di Beatrice Alemagna, Topipittori, alle sue pozzanghere, ai suoi verdi, al suo fango. Alle sue tragedie. Le piccole e quelle più grandi.

E il girovagare di Piccolo Ramo e Tigre mi ricorda il viaggio apparentemente senza meta de L’orso che non c’era, di Oren Lavie, e Wolf Elrbruch, edizioni e/o.

Piccolo Ramo sale sulle spalle di una canzone che gli ritorna in mente per frammenti […]. 
Tigre pensa che sia ridicolo viaggiare a cavallo di una canzone.

Forse ridicolo come per un orso viaggiare a cavallo di una tartaruga?


Ma il libro prosegue, e gli incanti -e i rimandi-, non sono finiti.

L’immagine dietro un vetro della casa di Nonna Corteccia mi fa pensare agli acquerelli di Marina Marcolin.
E, finalmente, dopo un graffio di Gatto sulla mano, e la cura della ferita, e le tisane amare, e le torte deliziose, una storia, una storia grande come la mano (“Allora sono cinque storie!”), può incominciare.


Una storia per crescere
Una storia piccina picciò
Una storia a dieci dita
Una storia silenziosa
La storia di una mano


E poi, al mattino,

La marea si ritirerà, tra gli alberi, in un frusciare di foglie.
I tronchi saranno neri e immobili. Il vento cadrà. Sarà il mattino.
La foresta si scrollerà di dosso i canti degli uccelli.

[…]

Qui la versione delle Briciole
Qui la versione di Scaffale Basso





sabato 10 marzo 2018

Belle e belli forti, ovvero Una fotografia immaginata




L’8 marzo è passato e noi, fedeli allo spirito di giungere sempre un po’ in ritardo, ne discutiamo, il giorno dopo, a modo nostro. Proprio il pomeriggio del giorno tradizionalmente dedicato alla festa della donna, ho acquistato nella mia libreria una novità di cui ho già letto e che non vedo l'ora di poter sfogliare:

Belle forti Ragazze che vogliono essere se stesse

di Kate T. Parker, il Castoro


L’ho sfogliato e letto subito, pensando che sarebbe stato un ottimo spunto di riflessione in classe, nel tentativo, sempre difficile ma necessario, di sfuggire alla banalità e alla retorica. Penso alle mie ragazze, e ai miei ragazzi: mi sembra un libro importante per la nostra biblioteca scolastica. E intanto (non posso farne a meno), incomincio a pensare a come utilizzarlo: quali spunti per la discussione, e la conseguente produzione, collettiva o individuale?

Il giorno successivo entro in classe, con il mio volume nella borsa, e intanto penso che dobbiamo disporci in un modo diverso: non posso semplicemente mostrare i ritratti fotografici alla classe da lontano. Bisogna poter guardare da vicino, cogliere gli sguardi, le espressioni del volto, i muscoli tesi, i capelli spettinati, le pose del corpo, perché la relazione tra parole e immagini sia davvero significativa. Così, come facevamo spesso quando erano più piccoli, ci sediamo a terra, loro disposti a semicerchio intorno a me, o meglio, intorno al libro. E poi, semplicemente, giro le pagine e leggo. Non leggo tutto, ma neppure ho scelto prima: mi soffermo dove noto che i loro sguardi sono più attratti, dove mi pare di cogliere delle convergenze tra le protagoniste del libro e le ragazze, o i ragazzi. Mi pare proprio di poter dire: non importa se maschi o femmine.

Lascio che parlino, mentre leggo. Che mi fermino, che chiedano, che commentino. (Non sempre è così. Loro sanno bene che, la maggior parte delle volte, la lettura è un momento quasi sacro: si aspetta la fine, o la rilettura, per poterne discutere. Prima, no. Prima c’è spazio solo per le parole del libro, e, se ce ne sono, per le immagini.)


Ci sono ragazze di tutti i popoli.

Ci sono solo ragazze.

Per me, nelle frasi, quando leggevi e vedevi l’immagine accanto, lo sfondo e la posizione in cui si mettevano le ragazze aveva molto senso.

Ogni ragazza è diversa da tutte le altre.

Tutte le cose che sono scritte sono vere.

Per me questo libro ti insegna ad essere se stessi e a non giudicare gli altri

Questo libro racconta anche di ragazze che fanno sport da maschi, e quindi di non dare pregiudizi a nessuno sport.

Questo libro ti fa capire che tutti gli sport sono per tutti, non la danza per le femmine e il calcio per i maschi.

Tutte le ragazze del libro pensano solo a divertirsi.

Secondo me le persone di questo libro erano competitive sullo sport che facevano

Gli altri non devono dire che i maschi son più forti delle donne, perché le donne sono forti quanto gli uomini

Per me ‘sto libro mi dà la sensazione che tutti possono essere liberi di fare quello che vogliono e non ci sono differenze

Secondo me, le persone di questo libro credono in se stesse e cercano di diventare quello che vogliono

Questo libro mi fa pensare che: primo che le donne si fanno strada per farsi il loro futuro, e poi che, questa è un’ipotesi, che quando finisce il libro si pensa migliore e trascura gli altri

Per me questo libro l’hai preso primo perché ieri era la giornata sulle donne…no, no, no, la giornata delle donne…no? Si chiama così? (La festa delle donne) e poi perché questo libro parla dei pregiudizi che i maschi hanno sulle donne

Questo libro è simile a Storie della buonanotte per bambine ribelli, solo che qua è più corta la descrizione e ci sono delle foto, invece nell’altro ci sono i disegni

A me questo libro mi fa pensare a mia cugina, perché lei non ha paura di far niente e quando le vietano qualcosa vuol sempre farlo, e non le piace sentire che è una femmina, vuol essere un maschio

Secondo me questo libro voleva un po’ far capire che, visto che comunque ci sono queste bambine e ragazze che fanno alcuni sport che di solito fanno i ragazzi, si voleva intendere che anche le ragazze possono farli tranquillamente senza paura del giudizio degli altri

Le ragazze possono fare tutti gli sport che vogliono, senza che nessuno le sottovaluti…

Mi intrometto: "Secondo te, vale solo per gli sport?"

No, vale anche per altre cose



Chiedo loro, ancora: "Perché in questo libro ci sono solo ragazze?"

Per la festa delle donne.

Per i diritti delle donne.

Perché nell’antichità e ancora in altri paesi le donne sono inferiori agli uomini.

Per far capire che tutti gli sport non sono per maschi o femmine

Perché alcune volte le donne vengono un po’ escluse

Per dimostrare che le femmine sono uguali ai maschi

Per dimostrare che tra uomini e donne non c’è nessuna differenza, perché per esempio, a volte, nell’antichità, le donne venivano considerate minori agli uomini, invece adesso gli fanno fare lavori diversi da quelli che gli facevano fare nell’antichità

Per dimostrare che le femmine possono fare anche cose “da maschi”

Per far capire a chi pensa ancora che le donne siano inferiori agli uomini, che anche se le donne sono donne, siamo comunque esseri umani

Per far capire che le donne, anche tutt’ora, hanno gli stessi diritti degli uomini

Bisogna considerare l’uomo uguale alla donna

Perché agli uomini danno sempre più importanza… la gente dà sempre più importanza

Perché alcuni maschi dicono che alcuni sport non siano proprio per femmine, invece lo possono essere

Siccome tutti dicono che le donne in generale non hanno tanto…cioè, non gli danno tanta importanza, cioè, alcuni, non tutti, l’autrice di questo libro ha deciso di porre fine a questa ingiustizia facendo un libro solo e soltanto su donne

Ci sono solo donne in questo libro per far capire che le donne possono essere come gli uomini

Dico anch'io come la penso. Il libro mi piace; ma mi piacerebbe di più se non ce ne fosse bisogno, o, meglio ancora... Lascio in sospeso la frase; aspetto che siano loro a completarla. In entrambe le classi, qualcuno lo fa. Sanno, e lo dicono, che preferirei che fosse un libro fotografico di bambine e bambini, ragazze e ragazzi insieme, che insieme rivendicano il diritto ad essere se stessi. Senza distinzioni di genere, di etnia, di cultura. Senza neppure, forse, il richiamo del titolo alla forza; che, se serve in un libro dedicato al genere femminile -“sesso debole” era l’espressione, neppure tanto lontana, con cui veniva designato il genere femminile fino a pochi anni fa-, non dovrebbe invece più essere necessario nel momento in cui la forza non sia una discriminante.



E poi penso che non può finire così. Che mi piacerebbe essere brava come Kate Parker, e fotografarli, così da cogliere la loro più intima essenza. Ma non so, non posso farlo.


Possiamo però, ognuno può, immaginare la propria foto, quella che vorrebbe in un libro come questa. Ognuna, ognuno può scegliere il dove, il quando, con cosa o con chi, la situazione, l’espressione del viso, la posizione del corpo. E poi, per concludere, può scegliere la didascalia che accompagni questa foto immaginata. 






E molte di queste didascalie, vi assicuro, fotografano chi le ha scritte quanto una splendida immagine.






























venerdì 2 marzo 2018

Adattamento e grammatica

Io mi adatto ai cambiamenti non troppo grandi.

La paura si adatta allo spavento.
La gioia si adatta alla felicità.
Il prigioniero si adatterà alla solitudine.
Il contadino si adatterà agli uccelli.
Io mi adatterò alle mie scelte.


A proposito di adattamento, propongo alle ragazze e ai ragazzi un’attività grammaticale di tipo sintattico, che li aiuti a riflettere, sia a livello formale sulla forma riflessiva del verbo adattarsi e sulla relativa valenza (tanti si ricordano il lavoro dello scorso anno, e non ci mettono molto a rispondere che è un verbo bivalente, che cioè necessita di soggetto e complemento di termine), sia a livello di contenuti, nella produzione di frasi significative riguardo ai processi di adattamento personale, individuale o collettivo.


Molte riflessioni, com’è naturale, riguardano il cambiamento più prossimo a loro, quello di cui parla lo stesso Kamo:


Io mi adatterò alle medie.
Io mi adatterò a vivere senza le mie maestre e mi dispiace.
Io mi adatterò difficilmente a cambiare scuola.
Io mi dovrò adattare ai prof delle medie.
Mi adatterò con difficoltà alle scuole medie.
Mi adatterò ai nuovi prof delle medie.





Altre sono relative ad esperienze familiari concrete:

Mia mamma si è adattata quando sono nata.
Io mi sono adattata quando sono nata che era la prima volta che entravo nella mia casa ed ero ancora nella culla.
Mamma si è adattata a restare calma quando faccio disastri.
La mia famiglia si è adattata alle urla del mio fratellino.
Io mi sono adattata ad essere la più piccola della famiglia.

Lei si adatta a suo padre che russa.

I nonni si adattano ai nipoti allergici al glutine.

Noi ci adattiamo al cane del vicino.
Mia mamma si è già adattata al suo lavoro.
Mio cugino si adatterà all’asilo.
Il nonno si adatta alla tecnologia.



Altre ancora alla vita scolastica quotidiana:

Io quando sono arrivato a scuola mi sono dovuto adattare alle regole che erano diverse da quelle dell’asilo.

Mi sono adattata al mio vicino di banco.
Noi ci siamo adattati al rumore della classe.

Io mi adatto ai compiti.
Io mi adatto ai miei vicini di banco.
Io mi adatterò a correggere gli errori di ortografia.
Io e i miei compagni ci adattiamo alle maestre.
Le maestre si adattano agli alunni.





A colpirmi maggiormente sono però i pensieri sulle necessità di adattamento per chi deve cambiare completamente la propria vita:

I miei genitori si sono adattati ad un nuovo paese.
Shamsa si è adattata all’italiano.

Voi vi adatterete ad una nuova cultura.

Laszlo si è adattato a Berlino.

Io mi adatto a nuove lingue.



Noi ci adatteremo a nuove conoscenze.

Noi ci dovremo adattare alle nuove sofferenze.






mercoledì 28 febbraio 2018

Adattarsi


"Adattamento è quando sei in un luogo e sei adatto a quel luogo, è il tuo posto più felice"
F., 10 anni e mezzo

[...] Se lo stessimo ad ascoltare non potremmo più fare niente, con il pretesto della prima media! “Quanti anni ha il vostro piccolino?” “Dieci anni e mezzo? Oh, ma allora è una faccenda seria, non c’è mica da ridere, presto andrà alle medie!” “Ah! No, mi spiace tanto, l’anno prossimo scordati la piscina, visto che farai la prima media!” “Cosa? Il cinema? Non se ne parla neanche! Farai meglio a ripassare le tabelline, se vuoi che ti accettino alle medie!” “Kamo, te l’ho ripetuto cento volte, non ci si mette più le dita nel naso quando si sta per andare in prima media!” Tutti! Tutti, senza nessuna eccezione, non riescono a parlare d’altro, mia madre, i tuoi genitori, il pescivendolo: la prima media! La prima media! Persino il cane della panettiera, quando m i guarda, ho l’impressione che stia per dirmi: “Ehi, tu, laggiù!” Sta’ attento, non dimenticare che il prossimo anno andrai alle medie…”

 Daniel Pennac, Kamo L'idea del secolo, Einaudi Ragazzi



Oh, come mi ci sento, in tutte queste voci! Sono la madre, i genitori, il pescivendolo. Forse sono persino lo sguardo del cane della panettiera: “Ehi, tu, laggiù!” Sta’ attento, non dimenticare che il prossimo anno andrai alle medie…”

Per quanto possa sforzarmi, so di guardarli così, più spesso di quanto vorrei. So di pronunciare le parole: “Quando sarete alle medie…” anche quando, forse, non sarebbe necessario. Lo so, perché mi è già capitato, da madre e da insegnante.

Proprio per questo, mi faccio aiutare da Pennac. Ancora una volta, la letteratura pone domande, prima ancora di dare risposte. E lo fa attraverso la voce di Kamo, dei suoi amici, del suo Adorato Maestro, Monsieur Margerelle.


-Ma allora,- domandò Kamo, -dove sta il problema?

(“Dove sta il problema” era l’espressione preferita di Tatiana, la madre di Kamo, alla quale niente pareva impossibile… “Ma allora, dove sta il problema?”)

-Nell’adattamento- rispose Monsieur Margerelle.


Così, è proprio la parola adattamento, a colpirmi, in questa rilettura, a distanza di molti anni -una ventina- dalla prima.

Ci ragiono, ci rifletto, e penso che possa partire da qui un’ulteriore, interessante percorso di riflessione, insieme alle ragazze e ai ragazzi.


Chiedo loro cosa sia l’adattamento.
Ci sono definizioni quasi scientifiche, logiche e dettagliate:

Quando magari un animale è stato cresciuto in cattività, poi lo liberano deve adattarsi al clima e a quell’ambiente, e alla sopravvivenza. Riferito all’umano, quando in casa magari i primi anni di vita dalla casa all’asilo, poi tutti i vari cambiamenti delle varie classi dell’asilo, poi alle elementari poi alle medie e via via si continua così fino ad arrivare al lavoro, e poi alla pensione.


L’adattamento è riferito ai luoghi e agli ambienti

Adattamento vuol dire quando ti adatti… in un posto che non sei…dove non vai spesso L’adattamento è quando ti devi relazionare con un luogo o con un ambiente

Quando vai in qualche luogo e devi ambientarti

Quando devi andare in vacanza e ti devi abituare al letto scomodo

L’adattamento è quando devi percepire qualcosa, perché quando devi percepire devi anche capire

L’adattamento è distinguere le cose: se prima in una scuola o in posto c’erano i banchi più larghi, e adesso sono più piccoli, devi saper gestire lo spazio



Adattamento è, prima di tutto, un processo naturale, che avviene fin dalla nascita:

Perché tutti noi nella prima volta che siamo andati nella nostra casa, ci siamo adattati



C’è un adattamento familiare, non sempre facile:

Quando ero piccola, ero figlia unica, poi è arrivata mia sorella, e i primi giorni ero un po’ gelosa perché mamma stava sempre con lei nella stanza e io non potevo entrare, e pure papà, e ho dovuto adattarmi. E adesso è tutto il contrario, lei è gelosa

Adattarsi vuol dire abituarsi ad un nuovo ambiente e a nuove persone, per esempio con il mio fratellino, quando non c’era ancora andavamo a vedere dei film al cinema che ormai eravamo grandi e potevamo vederli, adesso che è nato lui dobbiamo andare a vedere film per bambini



E ci sono i primi adattamenti sociali, fin dalla scuola dell’infanzia, che portano con sé ricordi ormai lontani di quasi 5 anni:

Adattamento secondo me è una cosa che fai quando devi adattarti a qualcosa, per esempio noi dall’asilo siamo passati alle scuole elementari con diverse abitudini

Ero un po’ spaventata. Primo perché non c’erano più i miei compagni d’infanzia, e poi perché non conoscevo nessuno

Io quando sono arrivata, cioè la prima persona che ho visto era la M. e quindi sono stata un po’ di giorni con lei, solo con lei. Poi il primo giorno avevo individuato la C. e la B. che erano sempre insieme e quindi pensavo che fossero sorelle. E poi ho un po’ capito i gusti delle altre ragazze e ho cercato di essere loro amica

Invece io quando sono arrivata in questa scuola, visto che c’erano alcuni compagni che non erano venuti alla scuola materna con noi, io ho dovuto prima conoscerli per capire un po’ i loro gusti, le loro emozioni e il loro comportamento, e dopo ho cercato di diventare amica

Prima, quando facevo nuoto, conoscevo M., poi quando sono venuto qua non lo riconoscevo più, perché era passato un po’ di tempo. All’inizio mi sentivo preoccupato, perché quando sono entrato in questo classe, mio papà o mia mamma mi hanno accompagnato a un banco e quando mi ha lasciato ho pianto subito. Poi mi sono abituato.



Si scopre insieme che l’adattamento è un processo continuo:

L’adattamento è anche quando inizi un nuovo sport, e alle medie ci dovremo abituare che avremo molto meno tempo per far le nostre cose, per giocare, per il piacere 

L’adattamento noi lo facciamo quest’anno quando dovremo andare alle medie e ci dovremo adattare alle prof che spiegheranno in un altro modo

Come ci siamo adattati qua, dovremo adattarci alle medie. Sarà molto più difficile perché la scuola è più grande, ci saranno persone più grandi

L’anno prossimo cambierò compagni, però mia cugina mi ha detto che in una settimana mi farò nuovi amici, perché sono un tipo socievole

Adattamento è quando cambi scuola e non conosci nessuno e devi… ti devi abituare

Abituarti a stare con più di una persona invece che con una

Adattarsi vuol dire quando tu sei in un nuovo posto e devi abituarti a nuove persone e nuove cose

Adattamento significa abituarti a nuovi caratteri, ad esempio praticamente quando ero andato in Sardegna c’era un campo da calcio che ci giocavano solo adolescenti, e quindi per poterci giocare dovevo adattarmi al loro carattere e al loro modo di giocare

Secondo me adattamento è ad esempio quando magari c’è un cambiamento cerchi di adattarti, dopo un po’ ti adatti ed è tutto normale.