A distanza di poco più di quattro mesi, si è
sciolta quella sorta di pudore che mi impediva di parlare sul blog del saggio A scuola con gli albi Insegnare con la
bellezza delle parole e delle immagini (Topipittori 2018); così ora pubblico,
in questo post, l’introduzione, dal titolo Questo
non è un metodo, in cui racconto le ragioni delle mie scelte educative e
didattiche.
“Le parole sono importanti”
affermava Nanni Moretti in un famoso film. Lo sono, credo, per tutti, e tanto
più per chi ha fatto dell’educazione e/o dell’insegnamento una scelta di vita,
e una professione.
Così, ci sono parole che non
possiamo utilizzare con leggerezza, soprattutto se siamo insegnanti. Una di
queste è metodo.
Metodo: procedimento messo in opera seguendo criteri sistematici
in vista di uno scopo; complesso organico di regole, principi, criteri in base
ai quali si svolge un'attività teorica o pratica (dal Sabatini Coletti)
Quando sento
parlare di metodi, in educazione, mi chiedo sempre se davvero in campo educativo sia possibile rispettarne le condizioni; se, oggettivamente, la messa in opera di criteri sistematici, di un complesso organico di regole, principi, criteri, sia sufficiente per svolgere la
propria attività e raggiungere uno scopo.
Non sto dicendo che seguire un metodo sia sbagliato, o che non
funzioni; tuttavia, da più di trent’anni, ormai, sono abituata a fare i conti
con tutte le infinite variabili che, in un modo o nell’altro, sono destinate a
far fallire i metodi. O, per lo meno, a fare in modo che essi non siano
efficaci per tutti.
Così, la mia
affermazione “questo non è un metodo” non è tanto una giustificazione per gli
inevitabili errori - in alcuni casi, purtroppo, addirittura fallimenti - di cui l'esperienza di un insegnante può essere costellata, ma, piuttosto, la consapevolezza
che la mia proposta educativa e didattica si basa su continui aggiustamenti,
correzioni, deviazioni, e che non rappresenta una ricetta infallibile destinata a sicuro
successo.
E allora, cosa
ci guadagnano i bambini?
Uno dei principi
pedagogico-didattici che da sempre sostiene il mio “fare scuola” si fonda sul
tentativo di mettere il bambino al centro del processo educativo; e non un’idea
generica di bambino, ma ogni bambino reale che mi trovo di fronte. Invece ci troviamo sempre di fronte non IL bambino, ma
un bambino, una bambina, e poi un altro, un’altra ancora, fino ad arrivare al
numero complesso che compone la classe, o le classi, in cui lavoriamo.
Naturalmente, applicando questo principio, è di volta in volta il punto di vista - dell’insegnante, ma anche del
bambino stesso, di ogni bambino - a dover cambiare.
Credo sia questo il nodo
cruciale, il difficilissimo equilibrio a cui tendere; la posizione precaria e sempre in
bilico dell’insegnante, ma soprattutto dei bambini, chiamati ad
essere soggetti attivi e protagonisti del proprio processo di apprendimento, ma
a cui viene richiesto anche di essere sempre più capaci di decentrarsi e di
trovare via via un nuovo centro a seconda di ogni compagno, persona, gruppo,
situazione o ambiente con cui entrano in relazione.
Si tratta di un
equilibro instabile, di cui ogni volta è necessario trovare e ricalibrare il
fulcro, il cosiddetto ago della bilancia. Non sempre ci si riesce, talvolta si
assiste a cadute rovinose. Ma il lavoro dell’insegnante non prevede traguardi semplici: la sua bellezza sta nel complesso e articolato
cammino percorso insieme.
Come scrive Franco Lorenzoni
nel suo saggio I bambini pensano grande
Cronaca di un’avventura pedagogica (Sellerio 2014), è proprio dentro quella che
sembra una contraddizione, “frequentare
il bello ovunque si trovi e procedere
a tentoni” che possiamo permettere ad ogni bambino di crescere e apprendere
nel rispetto di sé e degli altri, delle proprie competenze, dei propri tempi e
stili d’apprendimento, con l’obiettivo alto di un avvio al pensiero personale e
critico.
In questi primi
trent’anni d’insegnamento ho individuato la sintesi più efficace e praticabile
di questa prassi negli albi illustrati: lì dove le parole e le immagini
concorrono a creare storie ispirate alla realtà o fantastiche, il bambino e l’adulto possono cercare
e trovare bellezza, risposte e senso alle grandi domande che caratterizzano
la crescita, l’apprendimento e, più in generale, la condizione umana, in quel “gioco di reciproco ascolto e di scambio che, quando s'innesca, sembra non
avere fine.” (Franco Lorenzoni, op.cit.)
In questa pratica educativo-didattica, l’albo
illustrato diventa quindi non solo il mezzo attraverso cui insegnare e
imparare, ma un compagno con cui i bambini acquistano con il tempo sempre
maggior dimestichezza, praticando prima l’ascolto, poi la lettura autonoma,
acquisendo quella capacità di leggere parole e immagini che tanta parte avrà nella
costruzione di competenze elevate, come osservare e
interpretare la realtà che ci circonda nelle sue molteplici forme e manifestazioni, costruire un pensiero originale e critico, capace di confrontarsi
costantemente con l’altro da sé.
Nel corso degli anni, i miei bambini ed io siamo
cresciuti insieme ai libri: sia perché essi ci hanno accompagnato quasi in ogni
istante del nostro cammino insieme, sia perché questo approccio ci ha permesso
grandi spazi di riflessione condivisa. Poter leggere quotidianamente gli albi, libri che per loro struttura possono essere letti per intero nello spazio di un tempo breve, ha dato modo ai miei alunni di fruire di letteratura di qualità
nella sua interezza. Non è mai necessario ridurre e/o adattare un albo; è invece sempre
possibile leggerlo dall’inizio alla fine, nella completezza con cui è stato concepito, scritto, illustrato. L’albo si presta inoltre, per sua natura, a una
precoce e meditata lettura autonoma che i bambini sono invitati a
praticare fin dalle prime settimane di scuola. L’albo non ha una data di
scadenza: ne sono fruitori bambini e adulti, in un continuum che lo rende
strumento prezioso e denso di significato e bellezza.
Apedario, il
blog da cui questo volume è nato, è il diario illustrato della vita di due
classi elementari nelle ore quotidiane di italiano e arte. La lettura di albi
illustrati e libri per ragazzi è l'elemento fondante della mia attività
didattica, ciò che permette il coinvolgimento attivo e continuo dei bambini, di
tutti i bambini, attraverso la riflessione, la condivisione, la comprensione, la
produzione scritta, la riflessione linguistica, l'ampliamento del lessico, tesi al raggiungimento di benefici individuali e collettivi, e allo sviluppo del
pensiero personale e critico di ognuno. L'apprendimento linguistico - la scrittura, il ragionamento, la lettura - è infatti al centro della mia didattica: strumento fondamentale destinato a reggere tutto il successivo impianto educativo e formativo, umano e professionale.
Apedario è
nato molto tempo prima della sua apparizione ufficiale in forma di blog, il 20
aprile 2013. Da un paio d'anni aggiornavo una bibliografia per temi adatta ai
primi anni della scuola primaria. Da qui, l'idea di scegliere alcuni personaggi
degli albi illustrati per presentare le lettere dell'alfabeto, in un ordine
diverso da quello conosciuto: nell'esperienza d'insegnamento nei cicli
precedenti, avevo presentato prima la A, poi la P, poi la E, per permettere ai
bambini di iniziare a formare subito sillabe e parole (APE, PAPA',
PAPPA…).
Prima di diventare un blog, per alcuni mesi Apedario è stato un
progetto per un libro didattico. Tuttavia, la casa editrice cui a quei tempi lo proposi non gli attribuì abbastanza fiducia da dargli concretezza. Forse è stata questa
la sua fortuna: essere costretto a nascere come blog, e come tale diffondersi,
anche attraverso i social network, e in questo modo raggiungere un numero sempre più
significativo di persone.
Scrivevo nel primo post del 20 aprile
2013:
“L'idea di questo progetto nasce dalla necessità di una
didattica dell'italiano in classe prima (scuola primaria) strettamente connessa
al vissuto del bambino tramite la lettura di albi illustrati per l'infanzia e
la presentazione dell'alfabeto attraverso i rispettivi protagonisti. Ogni
storia diventa quindi un magnifico pretesto per parlare della quotidianità, di
storie fantastiche e suggestive, dei propri sentimenti, della relazione con i
pari e con gli adulti, in una continua fruizione di letteratura di qualità e di
una rappresentazione iconica che diventa stimolo per la creatività e la
strutturazione di uno stile grafico-pittorico personale e non stereotipato.”.
Le attività di cui tratto in questo volume riguardano i primi tre anni di scuola primaria passati insieme.
Così, ora, posso rispondere alla domanda di
prima: e allora, cosa ci guadagnano i bambini?
Un bambino a cui si leggano libri con costanza, continuità e passione, non è detto sviluppi automaticamente amore per la lettura; questo è una sorta di pensiero
magico da cui io per prima dovrei liberarmi. Ogni bambino che abbia
la fortuna di avere accanto un adulto che legge per lui guadagnerà però
sicuramente uno sguardo attento, una mente pronta, una buona capacità di ascoltare e ragionare, una viva attenzione ai particolari, un linguaggio articolato, un lessico ricco, e, su tutto, la capacità di
vedere le cose da molteplici punti di vista, e da molteplici punti di vista riflettere su di esse.