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venerdì 7 settembre 2018

Storia piccola, ovvero Saper guardar andare, con gli occhi e il cuore che balla


Ieri mi sono resa conto che leggere per i grandi muove in me sentimenti diversi rispetto alla lettura per i più piccoli.
O, almeno, ieri è andata così.
Ho già utilizzato più volte in classe Storia piccola, il magnifico albo di Cristina Bellemo e Alicia Baladan edito da Topipittori. Ma, appunto, l’ho sempre e soltanto letto ai bambini, con tutta una serie di attività, di grammatica e produzione scritta, che ne sono conseguite.
Ieri sera, invece, l’ho letto ad alta voce ad un gruppo numeroso – più di una sessantina – di genitori.
Non so fino a che punto sia stata una lettura gratuita – volevamo, ci aspettavamo, una riflessione intima sull’unicità di ogni bambino per i rispettivi genitori, ma, soprattutto, il passo successivo, quell’accompagnare guardandolo, guardandola andare, “salutandolo con gli occhi e col cuore che ballava.
Perché, rifletto oggi non per la prima volta, ci sono tanti modi di lasciar andare, e quel che accadrà dopo dipende in gran parte dalla capacità di salutare con gli occhi e col cuore che balla, senza negare i sentimenti contrastanti che ogni distacco comporta, ovvero dando ad ognuno di essi diritto di cittadinanza dentro se stessi e gli altri, ma soprattutto fiduciosi nella capacità di ognuno, anche e soprattutto dei bambini ancora così piccoli, di accettare il distacco e di viverlo come una grande opportunità.
Ieri ho faticato a terminare la lettura con voce ferma: perché ho percepito, intorno a noi insegnanti, un’emozione densa, palpabile, una commozione vera, un silenzio che parlava e, forse, cantava.


Il brano che segue è tratto è A come Accoglienza, A come Amicizia, in A scuola con gli albi Insegnare con la bellezza delle parole e delle immagini, Topipittori 2018



Un albo particolarmente adatto a segnare il primo incontro tra genitori e scuola è Storia piccola, di Cristina Bellemo e Alicia Baladan, (Topittori 2015), che narra quale grande avventura sia crescere:




Come comincia:

C'era una volta l'infinito.

E dentro l'infinito c'era una galassia.
E dentro la galassia c'era un pianeta.
E dentro il pianeta c'era un continente.
E dentro il continente c'era uno stato.
E dentro lo stato c'era un paese.
E dentro il paese c'era una collina.
E sopra la collina c'era un castello.
E in quel castello c'era una stanza.
E in quella stanza c'era un principe.

Principe Beniamino.


C'era una volta Beniamino.



Beniamino è un bambino come tutti, anche se nato, secondo la finzione fiabesca, da una Reginamamma e un Repapà. Un bambino fortunato, non tanto perché principe, ma perché potrà crescere e imparare “[...] le cose. E le parole musica delle cose, e le parole che fanno le cose.” Già in questa frase è racchiusa molta parte del senso del fare ed essere scuola.









Beniamino cresce e con le parole crea il mondo: il suo e quello dei suoi genitori, che per la felicità cavalcano, danzano, piantano un albero d'olivo, si tuffano, fanno posto nel lettone, spalancano porte, ridono. 






Infine, quando Beniamino è pronto, dopo una festa bella quanto quella per la sua nascita, Reginamamma e Repapà si fermano e...



In quell'istante che era dentro un minuto.
E in quel minuto che era dentro un'ora.
E in quell'ora che era dentro un giorno.

[...]

Ecco, proprio in quell’istante, Reginamamma e Repapà usarono queste precise parole: «Fai buon viaggio».


E lo guardarono andare, salutandolo con gli occhi e col cuore che ballava.

Cristina Bellemo - Alicia Baladan, Storia piccola, Topipittori



venerdì 8 giugno 2018

Presenti nell'assenza


Sono solo le 6. E sono sveglia da almeno un’ora.

È un ultimo giorno uguale e diverso da molti altri, questo. Per la terza volta, termino un ciclo alla scuola primaria; quella stessa primaria verso cui ho accompagnato, con non pochi timori, chissà quanti bambini, dalla scuola dell’infanzia, fino a 14 anni fa.

È un ultimo giorno in cui mi sento, letteralmente, divisa in due. Sono due le classi che usciranno per l’ultima volta dai due plessi in cui i miei colleghi e io insegniamo. Non potremo essere contemporaneamente in entrambi i luoghi, anche se saremo fisicamente insieme per tutto il resto della mattinata. E già so che, ovunque sarò alle 12.45, metà dei miei pensieri, e del mio cuore, saranno dall’altra parte.

Il tema dell’assenza, per un insegnante, credo sia fortissimo, vitale. Le bambine, i bambini, le ragazze, i ragazzi, sono, io credo, spesso addirittura più presenti dentro di noi quando non li abbiamo davanti agli occhi. La loro assenza diventa una presenza costante, talvolta invadente, che riempie i pensieri anche di momenti di vita che dovrebbero, naturalmente, essere dedicati ad altro. Spesso senza sosta, l’assenza, più della presenza, ti interroga, ti chiede ragione di decisioni, reazioni, valutazioni, errori. E più spesso di quanto chi non è insegnante pensi, ti giudica.

Così, ancora una volta, mi chiedo per quanto tempo sarà così. Per quanto tempo, impegnati a fare altro -quell’innumerevole e non quantificabile altro che ci aspetta da qui al 30 giugno, per esempio, o durante quei due mesi di vacanza estivi che molti ci invidiano, o a settembre, quando saremo impegnati a conoscere le nuove bambine e i nuovi bambini, che richiederanno tutta la nostra attenzione-  per quanto tempo, dicevo, impegnati a fare altro, avremo come un lampo, un’illuminazione, o a volte piuttosto un sottofondo costante, e ci ritroveremo a interrogarci sul futuro di quelle ragazze e quei ragazzi ormai non più presenti davanti a noi. 
Per quanto tempo ci sentiremo responsabili della loro crescita, delle loro scelte, delle basi, solide o più fragili, che abbiamo -o non abbiamo- saputo dare loro? Per quanto tempo li cercheremo, e riusciremo a ritrovarne i lineamenti bambini, in mezzo ai gruppi di adolescenti all’entrata o all’uscita di un mondo altro dal nostro? Per quanto tempo, come è successo in questi anni, saranno i più fragili a imporsi sugli altri, in una sorta di compensazione a quello che ha reso, fin da bambini, la loro vita un po’ più complicata?

Come sempre, domande senza alcuna risposta. E, come sempre, la scrittura come cura.

Vado a scuola. È il nostro ultimo giorno.



martedì 3 aprile 2018

In mezzo, ovvero la naturale condizione dell'esistere

IN MEZZO

Quelli piccoli sanno
di minestrina
astucci in plastica
gomma
da cancellare
e di sono come
tu mi vuoi

Quelli grandi sanno
di sudore
scarpe da ginnastica
gomma 
da masticare
e di non saremo mai
come voi

E in mezzo
in bilico
tra prima e poi
   ci siamo noi.

Chiara Carminati, {Viaggia verso} poesie nelle tasche dei jeans, Bompiani





La prima volta che ho letto questa poesia, tratta dal nuovo, bellissimo libro di Chiara Carminati, non ho potuto fare a meno, nella logica di maestra di quinta da cui sono completamente pervasa, che quei piccoli con l’odore di minestrina, astucci in plastica e gomma da cancellare fossero i primini (anche se il “sono come tu mi vuoi” avrebbe dovuto fin da subito farmi riflettere); mentre i grandi sono, indubitabilmente, molti dei nostri di quinta.

Solo ad una nuova rilettura più attenta, questa mattina, ho pensato che i piccoli sono più piccoli: non tanto per gli odori, quanto, invece, proprio per quell’adesione e conformazione quasi totale ai desideri e alle aspettative dell’adulto. Quei desideri e quelle aspettative da cui è necessario affrancarsi, a cui ribellarsi, in una stagione che, a dispetto di quelle tradizionali, inizia sempre prima, sempre troppo presto rispetto alla maturità dei corpi, dei pensieri, dei sentimenti.

E in mezzo?

In mezzo “ci siamo noi”. E c’è uno spazio, prima dell’inizio del verso. Uno spazio piccolo, tre battute appena, credo. Ma è uno spazio al cui interno si svolge tutta una crescita, un infinito passaggio, in cui ci tocca, adulti, essere presenza viva e attenta, seppur discreta.

Compito difficile, ma quanto mai necessario. Siamo tutti, sempre, in mezzo, ovvero nella naturale condizione dell'esistere.

mercoledì 22 novembre 2017

Io dico no, ovvero Il ricatto delle ricadute didattiche

Io dico no alle mie idee quando non vanno bene.
Io dico no a me stessa quando sto per fare una cosa che non devo fare.
Io dico no a scelte che avrei preferito non seguire.




Io ci provo. Ci provo davvero.
Mi riprometto che, almeno per una volta, il libro che ho scelto di leggere in classe sarà letto per il puro piacere della lettura, senza nessun altro scopo, nessuna attività, nessuna ricaduta didattica.
Leggo. 
E mentre leggo, ad alta voce, davanti agli occhi e alle orecchie attente delle mie ragazze e dei miei ragazzi, oppure alla fine, quando le parole del libro ancora si riverberano dentro di me, o dopo un paio di giorni, quando ormai sono ben sedimentate, ecco la folgorazione, l’idea a cui non posso rinunciare.

Mi è successo anche con

Klaus e i Ragazzacci

di David Almond, Sinnos (qui la trama del libro)


L’ho letto ai ragazzi in due giorni. E due giorni dopo, ho pensato che sarebbe stato bello chiedere loro di produrre un testo scritto a completamento della frase Io dico no


Questi i due testi collettivi, realizzati unendo una sola frase per ogni ragazza/o:


Io dico no a chi mi chiede sempre il materiale.
Io dico no a chi mi dà fastidio.
Io dico non a chi non sogna.

Io dico no quando ho paura di fare qualcosa.

Io dico no alle persone che sbagliano, per fare in modo che non sbaglino più.
Io dico no alle persone presuntuose.

Io dico no ai bulli.

Io dico no quando credo che un’azione sia sbagliata.
Io dico no quando una cosa è brutta.

Io dico no quando c’è bisogno di andare in mensa.
Io dico no alle persone che si vantano.

Io dico no alle persone che mi obbligano a fare qualcosa che io non voglio fare.
Io dico no ai miei compagni

Io dico no quando non voglio mangiare le cose che non mi piacciono.
Io dico no alle cose che costano molto perché non voglio che la mia famiglia perda la ricchezza.

Io dico no a chi mi vuol far alzare dal divano o dal letto.
Io dico no all’esclusione.

Io dico no ai ladri.
Io dico no ai dispetti.

Io dico no alla guerra.
Io dico no all’odio.

Io dico no a tanti animali.
Io dico a R. C. perché continua a comandare e a lamentarsi degli altri.

Io dico no ad alcuni miei compagni come loro lo dicono a me.
Io dico no quando c’è da dire no.




Io dico no alla gente che mi offre la caramella, soprattutto se non la conosco.
Io dico no quando serve dirlo.

Io dico no all’inquinamento; l’elettricità ci serve, ma ci servirebbe anche un’aria senza smog.
Io dico no alle esplosioni perché sono brutte azioni.

Io dico no quando mi arrabbio.
Io dico no alle persone che credono di essere i capi del mondo e a quelli che si fermano sulla propria strada e si sentono in colpa o di troppo.

Io dico no ai dentisti che ti mettono gli attrezzi in bocca e fanno male.
Io dico no alle mie idee quando non vanno bene.

Io dico no quando mi propongono una cosa cattiva.
Io trasformo la partenza di mio fratello con un “no” di non andartene.

Io dico no alle paure.
Io dico no a chi sporca la natura.

Io dico no alle persone che certe non pensano che faranno del male.
Io dico no alla crudeltà.

Io dico no quando non sono d’accordo, in qualsiasi cosa, con qualsiasi persona.
Io dico no alla guerra che distrugge tutto e tutti.

Io dico no alla morte.
Io dico no alla schiavitù.

Io dico no alla violenza.
Io dico no a chi voglio dire no, dico no a quello che voglio e nessuno me lo deve impedire.

Io dico no all’Isis.
Io dico no alle bugie.

Io dico no a quello che non mi sta bene, cioè quello che penso non sia giusto, come la violenza, i bulli e la guerra.
Io dico no a scelte che avrei preferito non seguire.

Io a volte cerco di dire no alla mamma, per esempio per i compiti oppure per la zucca frullata: non è buona.
Io dico no a me stessa quando sto per fare una cosa che non devo fare.

venerdì 30 giugno 2017

Le cose così come sono - #letturestive



Nelle scorse settimane mi sono chiesta a lungo se dare o meno ai miei ragazzi una lista di titoli, una scheda o, come gli anni passati, una presentazione tra cui scegliere le letture estive.

Ho pensato che molti hanno gusti ben definiti, e ormai scelgono in autonomia. Ma in questi giorni, l’altro mio pensiero è che sento, in ogni caso, una sorta di responsabilità nei loro confronti, anche riguardo alle letture. E se qualcuno invece li aspettasse, o li desiderasse, i consigli di lettura della maestra?

Così ho deciso di raccontare loro, attraverso il blog, soltanto libri che ho letto, e che davvero considero importanti, per le più diverse ragioni.

E mi sono detta anche che la cosa più bella sarà cominciare questi consigli di lettura estivi con un libro scritto da una persona che i ragazzi conoscono davvero, che hanno ascoltato e a cui hanno fatto domande, che ha raccontato  il proprio lavoro e ha suggerito loro modi tutti nuovi e speciali di scrivere.

Il primo libro è dunque

Le cose così come sono


di Silvia Vecchini e Sualzo, Bacchilega Junior




Viola sta crescendo, e fa i conti con molti nodi della crescita: la disoccupazione di suo padre e le conseguenti difficoltà economiche familiari, la sensazione di inadeguatezza rispetto alle coetanee, l’impressione che sua madre non la capisca più, e soprattutto si ostini a chiederle di guardare “le cose così come sono”. Come se per un ragazzo fosse facile, e giusto, comprendere e rassegnarsi ad una realtà così complessa.


Eppure Viola ha due grandi fortune: la prima risponde al nome di Selvaggio, il cane della scorbutica vicina cui dovrà badare, e anche grazie al quale le cose cominceranno a cambiare.
La seconda, credo ancor più importante, essere circondata di adulti che, nonostante tutto, non si arrendono. E sono soprattutto gli anziani, in questo libro, a mostrare forza inattesa, e a spingere gli eventi in una direzione non scontata. Perché per tutti sia ancora possibile rialzare la testa, e lo sguardo.

Un libro, questo, in cui mi sono rivista ragazzina: anch’io, come Viola, ho fatto i conti con i pochi soldi e  il senso d’inadeguatezza tipico degli adolescenti. E anch’io, come lei, ho avuto la fortuna di avere accanto chi, con i fatti molto più che con le parole, mi ha insegnato a tenere lo sguardo fisso in quello degli altri.


Come incomincia:

“Le cose stanno andando male. Ho bisogno di un telefono nuovo e non ho un soldo.
Impossibile chiedere ai miei che hanno già le loro grane ogni santo giorno. Li sento ragionare fitto fitto al mattino presto e alla sera tardi quando ormai pensano che dorma.
Il papà soprattutto è fuori gioco. Ormai lo chiamano pochissimo per lavorare nella fabbrica di biscotti. Un turno qui, uno là. Si aggira in casa senza nulla da fare, la barba di qualche giorno, la tuta appesa dall’esterno dell’anta dell’armadio. Bianca bianca, splende nella stanza come quella di un astronauta pronto per una partenza che non arriva mai.
Questa cosa l’ho pensata quando una sera hanno dato in tv Apollo 13 e lui l’ha visto con me, anzi mi ha chiamata e battendo la mano sul divano mi ha detto: - Viola, siedi qui e vediamoci insieme questo film, è bello. Chissà quando ripassa.”

VECCHINI S. – SUALZO, Le cose così come sono, Bacchilega Junior