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giovedì 8 ottobre 2020

The best part of me

La mia parte del corpo preferita è il cuore perché batte forte forte e mi piace sentire il rumore tum tum tum tum. Serve per far vivere un essere umano e così siamo contenti tutti e non moriamo neanche un po’ cioè sei ancora tutto vivo.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi, i miei occhi azzurri e limpidi con cui vedo tutto, vedo gli altri, vedo la mamma, vedo l'arcobaleno, vedo la maestra, la scuola e così via, ma la mia cosa preferita da vedere è la neve cadere.

La mia parte del corpo preferita è il cervello perché mi comanda, mi dice quando fermarmi e quando proseguire, se fare questa cosa oppure no e mi aiuta molto in tante altre situazioni.

La mia parte del corpo preferita sono i capelli perché sono lunghi e folti, un po’ biondi, quando sono nervosa ci gioco, li arrotolo attorno al dito e li tocco quando sono molto morbidi.

La mia parte del corpo preferita sono le mani perché mi salvano quando cado di faccia.

 

Non so bene quanto tempo sia passato, né se fossimo insieme al Masetto (era l’estate del 2017) o a Bonconvento, nei nostri successivi incontri – diventati necessari per stare bene e ritrovare stimoli, carica, passione - a casa di Ilaria. Non ricordo nemmeno se ce ne parlò personalmente o se ne lessi in un suo post su Fb.

Ricordo solo che fu Anna Forlani a farmi scoprire il volume fotografico The best part of me. Children talk about their bodies in pictures and words, di Wendy Ewald, Little, Brown and Company, Hachette Book Group (New York, 2002). 



Ho pensato subito a quanto sarebbe stato bello mostrarlo in classe e lavorarci con bambine e bambini. Poi, molte cose sono successe.

È sicuramente passato molto tempo. Il libro mi è tornato in mente sia durante la redazione di A più voci, il sussidiario dei linguaggi scritto con Marta Vitali per Pearson, sia qualche mese fa, quando il Festival Tuttestorie – il tema di quest’anno è Corpo a corpo Racconti, visioni e libri dentro e fuori di me - propose di partecipare all’installazione #SiamoAPezzi inviando le foto di alcuni particolari del proprio volto. Ho ripensato ad alcune immagini scattate quando eravamo in prima, alle bocche sdentate di bambine e bambini (poche cose mi fanno tenerezza come una piccola bocca con qualche finestra). Ieri, sul sito del Festival, ho trovato questa immagine.

 

(dalla pagina Fb del festival Tuttestorie)

Da qualche giorno, in classe, stiamo lavorando sull’identità personale: da “Io sono” a “Se fossi…”. Tra le varie proposte di completamento di quest’ultima attività, tra i vari Se fossi un colore… un animale… un gioco… un oggetto… ho pensato di terminare la produzione scritta individuale con Se fossi una parte del corpo, sarei…

E, subito, ho mostrato il volume e le sue immagini, facendomi aiutare, nella traduzione testuale, da due bambini che in famiglia parlano anche l’inglese.

Poi ho chiesto loro quale fosse la parte del corpo preferita. Le risposte sono tutte qui:

La mia parte del corpo preferita sono le braccia perché si può darsi la mano.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi perché mi aiutano a guardare e hanno dei bei colori tipo il mio che è marrone e sono fondamentali per guardare la tua famiglia e i tuoi amici.

La mia parte del corpo preferita è il braccio perché posso dare i pugni in faccia.

La mia parte del corpo preferita sono le braccia perché almeno posso prendere le cose e anche guidare il trattore e anche scrivere e anche sganciare il carro dal trattore.

La mia parte del corpo preferita è il cervello perché è intelligente e serve per comandare le altre parti del corpo. Il mio cervello mi aiuta a scuola ad esempio facendo matematica, storia, geografia, italiano.

La mia parte del corpo preferita sono le mani perché posso toccare cose morbide, dure, ma le mani mi aiutano anche a grattarmi e a dare qualcosa a qualcuno, per questo le mani per me sono molto importanti, mi aiutano a scrivere testi, poesie ma anche a scrivere libri.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi perché sono azzurri e mi permettono di vedere molto lontano, di guardare le cose attorno a me, di vedere cibi, dipinti, film, cartoni, gli attori famosi e molte altre cose.

La mia parte del corpo preferita è il cuore perché batte forte forte e mi piace sentire il rumore tum tum tum tum. Serve per far vivere un essere umano e così siamo contenti tutti e non moriamo neanche un po’ cioè sei ancora tutto vivo.

La mia parte del corpo preferita sono le gambe perché corro veloce come un fulmine così quando giochiamo al mostro nessuno mi prende, anche quando facciamo ginnastica.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi, i miei occhi azzurri e limpidi con cui vedo tutto, vedo gli altri, vedo la mamma, vedo l'arcobaleno, vedo la maestra, la scuola e così via, ma la mia cosa preferita da vedere è la neve cadere.

La mia parte del corpo preferita sono le orecchie perché posso ascoltare le mie amiche, gli altri e il bellissimo suono del violoncello.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi perché con loro posso vedere il mondo e cose meravigliose, anche se quando ero piccola i miei occhi avevano i canali lacrimali troppo piccoli mi piacciono così e ora sono guarita.

La mia parte del corpo preferita è il cervello perché mi comanda, mi dice quando fermarmi e quando proseguire, se fare questa cosa oppure no e mi aiuta molto in tante altre situazioni.

La mia parte del corpo preferita sono i capelli perché sono lunghi e folti, un po’ biondi, quando sono nervosa ci gioco, li arrotolo attorno al dito e li tocco quando sono molto morbidi.

La mia parte del corpo preferita sono le mani perché mi salvano quando cado di faccia.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi perché sono azzurri e perché mi piacciono così.

La mia parte del corpo preferita sono le gambe per inciampare, camminare, correre, cadere, saltare, calciare e stringere.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi, posso esplorare il mondo, vedere i colori, le persone, oggetti e animali.

La mia parte del corpo preferita sono le orecchie così posso sentire i segreti delle persone e saprò se avranno 10 i bambini oppure 0 e sentirò chi è bocciato e chi è promosso e sentirò cosa mi compreranno al mio compleanno e sento le alette del drone che si preparano a prendere il volo e far aria nei miei capelli e sentirò il rumore del drone.

 

La mia parte del corpo preferita sono le gambe perché posso correre.

La mia parte del corpo preferita il cuore perché senza il cuore nessuno di noi potrebbe vivere.

La mia parte del corpo preferita sono le gambe perché sono loro che mi hanno fatto imparare a camminare. Loro mi fanno tirare forte, mi fanno imparare come crescere perché anche da grande saranno alte, muscolose e belle.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi perché vedo voi e vedo tutto il mondo e tutto quello che mi piace.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi perché sono lucidi, brillanti e bellissimi.

Le mie parti del corpo preferite sono le guance perché sono morbide e perché sono come degli antistress.

La mia parte del corpo preferita è il cuore perché senza cuore non si è felici e secondo me è l'organo più importante del corpo e il cuore serve anche a giocare con i nostri amici.

La mia parte del corpo preferita sono le gambe perché mi piace correre.

La mia parte del corpo preferita è la bocca perché posso mangiare, parlare, bere, dire cose importanti.

La mia parte del corpo preferita è il naso per annusare le cose profumate o cose puzzolenti, cose buone e cose non buone e le matite e il mare profumatissimo.

La mia parte del corpo preferita è il cervello perché deve pensare, così sei intelligente e pronto.

La mia parte del corpo preferita è il cervello perché è più importante di tutti perché ragioni, sei intelligente e serve anche per pensare cosa devi fare, per parlare, cosa devi scrivere e per giocare a calcio e essere un nerd.

La mia parte del corpo preferita sono le mani perché si possono dare i pugni, prendere le cose, stringere le mani e le mie mani sono grandi e bianche.

La mia parte del corpo preferita è la bocca perché posso assaporare tutto, posso mangiare la pasta al forno di mia mamma, l'insalata, il cioccolato, lo zucchero filato. La mia bocca è normale, posso anche parlare bene e dire cose importanti.

La mia parte del corpo preferita è il cuore perché ti aiuta a vivere.

La mia parte del corpo preferita sono le braccia perché così posso abbracciare la mamma e papà e tutto il mondo. La mia parte del corpo preferita è il cuore perché non smette mai di battere.

La mia parte del corpo preferita sono i muscoli perché sono molto forti e mi servono per tenere le cose ed è una parte più importante di me.

La mia parte del corpo preferita sono gli occhi perché posso vedere il mondo attorno a me e vedere gli amici e perché sono brillanti.

sabato 3 ottobre 2020

"Che cosa sono?" si chiede il bambino

Succede che, per il tuo compleanno, ti regali l’ultimo libro di poesia di Bernard Friot, Buchi nel vento. Poesie a passeggio, Lapis (succede anche che una bambina, leggendo le indicazioni bibliografiche, dica bruchi invece che buchi, ma questa è un’altra storia). 




Lo leggi subito, e scopri una poesia che si intitola Io sono.


Hai da pochi giorni proposto alle bambine e ai bambini delle tue classi su una produzione scritta con lo stesso titolo: un elenco di aggettivi qualificativi da definire, per definirsi.

Questa poesia ti regala però una prospettiva nuova: la domanda da porsi non è più “Come sei?” ma “Che cosa sei?”.

Mostri – naturalmente da debita distanza – il libro in classe, e leggi ad alta voce la poesia. Nel frattempo, l’hai trascritta e fotocopiata, perché ognuno possa leggerla in autonomia.

E poi, naturalmente, proponi a bambini e bambine di provare a rispondere proprio alla domanda che dev’essersi fatto Bernard (lo conosco, di persona – ci siamo incontrati alla Cornice - e mi vanto con loro della sua amicizia), provando a seguire l’identica struttura delle strofe.

Le prime (per alzata di mano, non devono averci pensato più di due minuti) letteralmente ti stordiscono:

Io sono un fiore che sboccia, dice il bambino, in primavera,

e semino altri fiori.

Io sono un arcobaleno, dice il bambino, e nasco

da acqua e sole.

Io sono il vento, dice il bambino, e soffio

una brezza tiepida tra i tuoi capelli.

Io sono la pioggia, dice il bambino, e bagno

la sabbia in riva al mare.

 

Così chiedi che ciascuno scriva i propri versi, e poi scelga quelli da regalare alla classe, per comporre una poesia collettiva. E, in dono, ricevi le prime copie.

Che altro desiderare?












Io sono un cane, dice il bambino, e ti accompagnerò

ovunque andrai.

Io sono un uccello, dice il bambino, e volo

leggero in un cielo infinito.

Io sono la pioggia, dice il bambino, e accarezzo

le piante verdi e mature.

Io sono la pioggia, dice il bambino, e bagno

la tua testa con le mie lacrime.

Io sono un tesoro, dice il bambino, e contengo

piccoli sogni.

Io sono un sentiero, dice il bambino, e ti porto

in passaggi segreti.

Io sono una quercia, dice il bambino, e apprezzo

gli alberi.

Io sono la luna, dice il bambino, e illumino

tutto il cielo.

Io sono la neve, dice il bambino, soffice e lieve, un po’ bagnata e fredda,

ma calma.

Io sono il vento, dice il bambino, tranquillo

e leggero.

Io sono un alfabeto, dice il bambino, e sembro

un ABCD e anche EFG.

Io sono un leone, dice il bambino,

perché mi sento un re.

Io sono una stella cadente, dice il bambino,

luminosa come il diamante.



mercoledì 9 ottobre 2019

Uno come Antonio, ma anche Uno/Una come...




Uno come Antonio, di Susanna Mattiangeli e Maria Chiara Di Giorgio, Il castoro, è uno di quei libri che ho letto tantissimo – oserei dire sempre – negli ultimi mesi, nelle occasioni di incontro con i colleghi, gli studenti di Scienze della Formazione, gli appassionati di albi illustrati: chi c’era lo sa.

Lo amo tanto, da tempo; tanto da averne scritto, a poche settimane dall’uscita, proprio qui, sul blog. È stato, credo, l’ultimo Mercoledì al cubo con le Briciole di Passpartu e Maria Polita, di Scaffale Basso. E forse non avremmo potuto concludere meglio quell’avventura insieme.

Mi accorgo, nella lettura agli adulti, di leggerlo con un trasporto particolare, soprattutto nella sua pagina per me più impegnativa:


Però basta voltare pagina

ed ecco Antonio che ascolta la lezione.

A scuola è un alunno e deve stare attento

deve stare attento e più ci pensa e meno sta attento.

Se si distrae troppo diventa un viaggiatore dello spazio

che vede dall’alto la sua città, la sua scuola

la sua classe e anche se stesso,

un piccolo terrestre che viene sgridato dalla maestra

perché non ascolta la lezione sui primi abitanti

del suo pianeta.

Come si può restare indifferenti a un passaggio come questo?
Come può un insegnante (con o senza apostrofo, naturalmente) non interrogarsi sugli almeno due o tre nomi che potrebbe agevolmente sostituire – e l’ha già fatto, col pensiero – ad Antonio, mentre legge?
Come può non rammaricarsi di quelli che quotidianamente perde, per pochi o molti minuti, o che non è riuscita a catturare, per gli svariati, infiniti motivi di cui è colma la mente di un bambino?

Leggo sempre agli adulti Uno come Antonio insieme a Stavo pensando…di Sandol Stoddard e Igor Chermayeff, nella magnifica traduzione di Bruno Tognolini per Topipittori. Mi sembra che insieme siano insuperabili.

E invece ieri ho letto Uno come Antonio per la prima volta a dei bambini e a delle bambine. 
Ai miei bambini e alle mie bambine.

E in entrambe le classi, me l’hanno subito richiesto, un’altra volta.
E poi l’ho letto una terza. Mentre disegnavano, e scrivevano.

Perché il più scaltro, quello che ormai anticipa ogni mia mossa (Mi leggi nella mente, gli ho detto oggi. E lui rideva felice) l’aveva già capito: A sinistra facciamo Uno come Antonio, e a destra Uno come… e mettiamo il nostro nome).

Ah, i bambini e le bambine!















mercoledì 3 aprile 2019

Il bimboleone, la bimbabradipo e altri bambini

Sono partita per la Fiera di Bologna con un’unica certezza: il libro che, il giorno dopo, avrei letto in classe alle mie bambine e ai miei bambini sarebbe stato Il bimboleone e altri bambini, di Gabriele Clima e Giacomo Agnello Modica, Edizioni Corsare.



È un libro che, prima ancora di vederlo dal vero, mi ha fatto pensare a un imperdibile del 2001, Scuola foresta, di Stefano Bordiglioni, Einaudi Ragazzi, recentemente ripubblicato nella collana Storie e rime.


Come in quel libro, anche qui i bimbi sono narrati nella loro diversità e complessità – perché, ne sono certa, dentro lo stesso bambino possono convivere, che so, un bimboleone e un bimbopeluche. E, forse, la cosa più bella di questo testo è la sua mancata pretesa di esaustività: questo le bambine e i bambini l’han colto subito, in modo chiaro e, mi vien da dire, potente, tanto che qualcuno, appena terminata la lettura, mi ha chiesto: “Adesso possiamo disegnare? E possiamo inventarne altri?”






 

Ecco, credo che la forza di questo libro, oltre alle immagini del suo giovanissimo e promettente illustratore, sia dentro un testo che spinge ad andare oltre, a continuare il gioco, a cercare il proprio bimbo… giusto. Quello adatto a oggi, a questo momento, proprio adesso. Perché fra un giorno, un’ora, o solo un attimo, quello adatto potrebbe essere un altro.







Come incomincia:

Quanti sono i bambini del mondo?
Tanti, tantissimi.
E tutti diversi…

C’è il BIMBOGATTO un po’ selvatico e un po’ coccolone.
A volte ti regala un sorriso,
a volte ti dà una zampata.
È fatto così, è un bimbo agrodolce (“Cosa vuol dire agrodolce?”)
Non puoi togliere l’agro
senza togliere il dolce.

Per far felice un bimbogatto devi…
Fargli capire che, ogni volta che vuole,
può avvicinarsi e farti le fusa.

CLIMA G. – MODICA G. A., Il bimboleone e altri animali, Edizioni Corsare

martedì 23 ottobre 2018

Igor, o la ricerca di qualcuno che ci somigli

Ci sono temi - attenzioni, mi verrebbe da chiamarle - quotidiani, nella vita di una classe: temi per i quali sviluppare appositi progetti sarebbe svilente, se non addirittura fuorviante.

È il caso, per quanto mi riguarda, della consapevolezza dell'identità, propria e altrui, e del riconoscimento e del rispetto della diversità. Mi sembra sempre talmente naturale che essi emergano nei frangenti più disparati da ritenere inutile dedicare loro luoghi, tempi e risorse specifiche.
Per noi, a scuola, è stato così fin dall’inizio: nel raccontare se stessi, quel che si è e quel che si sa fare, così come l’incompiutezza, la competenza non ancora raggiunta, il non saper fare.
La diversità, per noi, ha avuto anche il volto (i bambini dicono la faccia, che davvero in questo caso fatico a sostituire con muso) di Igor, il sorprendente protagonista dell’albo di Francesca Dafne Vignaga edito da Edizioni Corsare.




Igor si presenta addirittura con una carta d’identità, una data di nascita, il 24 ottobre (domani sarà il suo compleanno), una residenza e un’altezza ben precise, e, per finire, due segni particolari di sicura presa su bambine e bambini: molto peloso e spesso sorridente.

Di sé sa solo il nome.
Sa fare giochi di prestigio con fiori e semi.
Sa fischiare con le foglie di acacia.
Sa arrampicarsi sugli alberi, anche su quelli molto alti.

Igor sa fare, proprio come noi, alcune cose.

A Igor piace osservare cosa fanno gli animali: gli piace, come ad Anna, guardare le formiche cariche di provviste disposte in lunghe file.


Igor da qualche giorno è pensieroso.
Possibile che non abbia mai visto nessuno che gli somigli?
Forse da qualche parte c’è, bisogna solo cercarlo.
Forse è il momento di lasciare la sua casa e partire per un viaggio.





Comincia proprio da qui, da questa ricerca di qualcuno che gli somigli, il lungo viaggio di Igor: a bordo di una barchetta fatta con una scatola di cartone, e per vela una stoffa bianca a pois neri (Sono le mutande! hanno detto alcuni maschi in entrambe le classi), proverà via via a immedesimarsi con famiglie diverse, per trovare, alla fine, la propria identità e la propria realizzazione.

Grande, questo Igor!












Qui la bella recensione di Marina Petruzio per Luuk Magazine