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mercoledì 24 aprile 2019

Harold, i bambini e le loro matite

Molto accomuna Harold, le bambine e i bambini: e sta tutto in quel tratto di pastello che, solo, genera infinite storie ed avventure.
Nato dalla fervida immaginazione di Crockett Johnson, (qui un interessante articolo di Beniamino Sidoti su Libri Calzelunghe), Harold dà corpo e segno all’infanzia tutta, che con un solo tratto costruisce il mondo intorno a sé.
Una sera, dopo averci pensato sopra un bel po’, Harold decise di fare una passeggiata al chiaro di luna.
Ma la luna non c’era, e senza luna non si può passeggiare al chiaro di luna.







Come fare una passeggiata al chiaro di luna se la luna non c’è? Potrebbe, questo, essere forse un problema per noi adulti. Ma non lo è certo per Harold – e come lui molti bambini, capaci di immaginare, e rendere in tal modo vero, tutto ciò che è loro necessario, e anche quel che non lo è.

Harold prosegue la sua passeggiata, in cui, per non perdersi, basta una foresta piccola piccola, con un albero solo.

Ma se quell’albero di mele produce frutti deliziosi, forse sarà necessario mettergli a guardia un drago così feroce da far addirittura tremare la mano di chi l’ha creato. E una mano tremante fa presto a trasformare una via dritta in un’onda dell’oceano, in cui rischiare di affondare.

Di avventura in avventura, Harold accompagna i suoi piccoli e grandi lettori alla scoperta delle infinite potenzialità dell’immaginazione. E chi ha a che fare ogni giorno con i più piccoli sa bene quanto essa sia potente.






Così, chiedo alle bambine e ai bambini di lavorare su due pagine affiancate: su quella di sinistra potranno disegnare e raccontare un breve tratto dell’avventura di Harold; in quella di destra, saranno liberi di immaginare la propria.
E se c’è chi fa propria la storia di Harold, entrandovi da co-protagonista, c’è anche chi rivendica una totale autonomia, in cui diventare regista indiscusso delle proprie avventure.









Come incomincia Passeggiata al chiaro di luna:

Una sera, dopo averci pensato sopra un bel po’, Harold decise di fare una passeggiata al chiaro di luna.

Ma la luna non c’era, e senza luna non si può passeggiare al chiaro di luna.

Harold aveva anche bisogno di un luogo adatto dove fare la passeggiata.

Fece una strada lunga e dritta, così lunga e dritta che era impossibile perdersi.

Poi cominciò a camminare sulla strada, tenendo in mano la matita viola.

JOHNSON C., Harold e la matita viola, Einaudi Ragazzi

martedì 17 luglio 2018

CUSHLAMOCHREE! o Delle infinite possibilità


CUSHLAMOCHREE!

Da qualche giorno, questa parola mi ossessiona.
L’ho scoperta sull’ultimo Linus: anticipata dall’editoriale di Igort e raccontata da Chris Ware nell’articolo Crockett Johnson e la linea chiara, dal primo istante in cui l’ho letta CUSHLAMOCHREE! ha cominciato a interrogarmi.



Perché non riuscivo a togliermela dalla mente? Perché mi faceva sentire, fortissimo, il desiderio di scriverne?

Forse per via della sua quasi intraducibilità* nella lingua italiana (Igort scrive: “[…] Cosa vuol dire cushlamochree? Battito del mio cuore. Questo vuol dire, accidenti.”). Forse per il suo suono: sono particolarmente sensibile all’effetto che le parole producono alle mie orecchie, oserei dire sotto pelle, tanto che, a volte, mi ritrovo a sussurrarle, mentre leggo silenziosamente. Le sussurro -le provo, direi-, e mi immagino il loro effetto sui volti delle bambine e dei bambini che dalla mia voce le ascolteranno (si smette mai di essere maestri?). Forse perché, come scrive Chris Ware, in Barnaby, protagonista dell’omonima striscia di Crockett Johnson, è immediatamente riconoscibile quell’Harold che, con la sua matita viola, disegna il mondo, lo interpreta e lo piega al suo volere. 













Quello stesso Harold che le mie alunne, i miei alunni e io conosciamo fin da quando insegnavo alla scuola dell’infanzia.

CUSHLAMOCHREE! mi pare abbia il suono dei tentativi, finanche maldestri, che ognuno di noi compie per affermare se stesso e la propria identità in relazione agli altri, nella misura in cui gli altri lo vedono e credono in lui; qui, in particolare, in relazione a un bambino che, come Calvin, non smette per un solo istante di credere nel sogno e nella fantasia. E se io, piccina, non ho avuto accesso a libri d’autore o alla cultura “alta”, so però con assoluta certezza di aver incontrato, come Barnaby, Fate Madrine -e Fati Padrini- che mi hanno permesso, nonostante un’infanzia molto semplice e sicuramente non benestante, di poter sempre contare sulle storie e sui libri: li ho avuti con me da piccola e ho continuato a incontrarli nel corso della mia vita, cercandoli come un assetato cerca l’acqua.

Forse solo in questo modo ho potuto realizzare quel che altrimenti avrei potuto soltanto immaginare.

Ci sono molte cose che fin dall’infanzia non so, e che fin dall’infanzia so di non sapere.
Ma a volte penso che sia meglio così: perché davvero non finirò mai di scoprire, e di imparare.

*A proposito di intraducibilità: Lost in translation 









venerdì 19 maggio 2017

Lavorare in gruppo serve davvero? (1^ parte)



Il lavoro di gruppo è una delle metodologie che sia io che i ragazzi preferiamo. Le motivazioni, le mie e le loro, sono ovviamente in parte diverse, ma è proprio ora che sono più grandi che mi piacerebbe che comprendessero meglio quel che spinge un insegnante, nonostante la confusione che spesso ne deriva, a continuare a scegliere di farli lavorare insieme.
L’obiettivo che mi sono prefissa dell’attività dei giorni scorsi è il consolidamento dell’uso corretto dell’H, che non è ancora completamente acquisito da tutti.
Con questa abilità scritta chiaramente alla lavagna, ho chiesto ai ragazzi quali criteri avremmo dovuto seguire nella formazione dei gruppi. 

Queste le loro proposte:


7 bambini escono e scelgono 3 compagni che lavorano con loro

Secondo me escono 4 bambini e questi 4 scelgono 7 compagni

Tutti i bambini dicono su che cosa sono ancora un po’ incerti, poi tu formi i gruppi, e non importa se un gruppetto è da 2, da 5 o da 6, e ogni gruppo dev’essere in grado di fare quello su cui è incerto, e non quello di cui è sicuro

Escono 7 bambini e ogni bambino sceglie prima un maschio poi una femmina e così via, dopo un gruppo sceglie su cosa fare, sceglie l’accento e si allena un po’ sull’accento, un altro sceglie l’H e si allena sull’H

Si può fare un tabellone di gioco che al posto dei numeri ci sono le parole con l’H

Se ad esempio io devo scegliere 4 ragazzi, per forza deve starci pure un maschio

In ogni gruppo, ci dev’essere qualcuno che è sicuro nell’uso dell’H, in modo da poter aiutare chi è più in difficoltà

Per me i gruppi non saranno maschi e femmine divisi, ma saranno un po’ mischiati

Un po’ quelli che hanno meno difficoltà con l’H con quelli che hanno più difficoltà 

Tu scegli delle persone, le metti vicino alla porta e quelle persone, una alla volta, scelgono gli altri

Usciamo lì e si deve chiamare un maschio e una femmina



Dopo aver concordato che un lavoro di gruppo davvero efficace deve permettere a chi si sente ancora in difficoltà di acquisire maggiori competenze, anche grazie ai compagni più sicuri, ho chiesto che alzassero la mano, senza inutili e false modestie, proprio i ragazzi che si sentivano in grado di sostenere i compagni.

Ognuno di loro ha poi scelto chi invece ha dichiarato di sentirsi ancora insicuro, e così via, a completamento dei gruppi.

10-15 minuti per progettare l’attività, una veloce ricognizione per recuperare il materiale occorrente ai diversi gruppi e altri 45 minuti per incominciare il lavoro.
 



Al primo stop dell’attività chiedo una verifica in itinere riguardo l’efficacia del lavoro di ogni gruppo: Cosa avete fatto? A che punto siete? Cosa ha o non ha funzionato?






F.: abbiamo disegnato l’Italia e fatto una specie di testo in cui abbiamo scritto le particolarità dell’Italia, ovviamente con l’H. Ci manca ancora un po’. Ha funzionato bene il disegno, il testo anche, però c’è qualche errore ortografico. Il titolo, che si è inventato L., è L’H all’italiana.





 

M. C.: abbiamo prima piegato un foglietto e poi scritto un titolo, Usare l’H. Poi sotto abbiamo scritto tipo HANNO HA HO…poi dentro abbiamo fatto lo schema con al centro l’H e intorno le parole che si formano. Su un foglio a righe abbiamo scritto frasi con l’H e abbiamo attaccato un’H tridimensionale. Non abbiamo finito. All’inizio io mi distraevo sempre un po’ a parlare,  e non tutti erano coinvolti, poi invece ha funzionato meglio.





C.: abbiamo realizzato un giro dell’oca con al posto dell’oca un serpente con le caselle tridimensionali che si aprono. Poi nel giro del serpente c’è una scorciatoia e abbiamo fatto tridimensionali tre dadi e le pedine. Ci mancano le regole del gioco. C’era qualcuno che noi gli dicevamo cosa doveva fare e lui se ne fregava. Ci guardava lavorare e lui stava lì fermo. Il resto ha funzionato tutto. 





 

A.: noi abbiamo fatto all’inizio una tabella prima con le parole sbagliate senza l’H che si dovevano riscrivere corrette. Nell’altra colonna le abbiamo riscritte giuste. Poi abbiamo preso due fogli e abbiamo scritto su uno quando serve l’H e sull’altro quando non serve. Poi abbiamo fatto un gioco con le parole con le lettere a caso con cui bisogna comporre una parola con l’H. Non abbiamo ancora finito. All’inizio non ha funzionato tanto bene perché non ci eravamo messi d’accordo bene, poi invece abbiamo fatto un po’ di cose che ognuno voleva fare.






N.: noi abbiamo fatto tipo un gioco dell’oca, solo che si chiama Gioco dell’H. Abbiamo fatto un percorso dove ci sono degli imprevisti ma anche dei vantaggi. Alcuni vantaggi erano di fare una frase, con l’H o senza, solo che se sbagliavi dovevi tornare al punto di partenza. Abbiamo scritto dentro le caselle le regole del gioco. Noi eravamo più avvantaggiati degli altri perché avevamo un dado vero. Abbiamo finito. È funzionato tutto liscio, solo che all’inizio quest’idea era stata di Sofia e io non avevo capito niente, poi dopo abbiamo capito.






B.: anche noi abbiamo fatto il Giro dell’oca, però l’abbiamo chiamato Giro dell’H. Invece che andare subito tirando il dado, abbiamo preparato delle domande, ad esempio una contiene l’H e una no. Scrivevamo Ho mangiato oppure O mangiato e abbiamo fatto dei quadratini di fianco in cui mettere la X per segnare quella giusta. Se la risposta è corretta, lanciano il dado e vanno avanti del numero che esce, se invece è sbagliata rimangono alla partenza. Abbiamo finito.

Ha funzionato tutto perché abbiamo trovato un ruolo da dare ad ogni bambino, però non abbiamo scritto le regole. Le sappiamo ma non le abbiamo scritte.





 

G.: noi abbiamo realizzato delle frasi con l’h, e ogni frase l’H la facevamo in rosso, e con le lettere dell’alfabeto, più o meno… le iniziali delle frasi. Però l’alfabeto non l’abbiamo finito, perché ci mancano delle frasi. Dietro abbiamo fatto un H gigante con i nostri nomi, ma dobbiamo finirla. Ha funzionato tutto, solo che all’inizio non riuscivamo a metterci d’accordo.




A.: abbiamo fatto un cartellone, abbiamo scritto una frase e sotto abbiamo fatto un albero con i rami senza foglie e di lato abbiamo incollato un foglio su cui abbiamo scritto delle parole con l’H. L’albero unisce le parole dell’H. Non abbiamo ancora finito. All’inizio non è che siamo stati molto in gruppo, ma dopo un po’ ci siamo uniti.

M.: non abbiamo ancora finito il cartellone, però abbiamo scritto la spiegazione dell’H e delle parole, che dobbiamo dire, con l’H. Ha funzionato che abbiamo lavorato tutti in gruppo, però ci abbiamo messo un po’ troppo a fare il titolo.

A.: noi abbiamo su un cartellone scritto il titolo e attaccato quattro fogli e abbiamo scritto degli elenchi sulle parole dell’H. Non abbiamo ancora finito. Ha funzionato il lavoro di gruppo, non ha funzionato che ci abbiamo messo tanto a metterci d’accordo.

S.: noi abbiamo fatto il cartellone con alcune delle regole sull’H. Abbiamo fatto un fiore al centro colorato con tanti tipi di H e poi abbiamo fatto altri fiori e li abbiamo incollati intorno. Dentro ci abbiamo scritto alcune delle regole sull’H. Non abbiamo ancora finito. Ha funzionato che abbiamo lavorato tutti in gruppo e ci siamo aiutato.

G.: noi abbiamo fatto un cerchio con dentro l’H e delle frecce con alcune regole e abbiamo scritto anche dei caratteri dell’H. Non abbiamo ancora finito. Ha funzionato che ci siamo prestati le cose, non ha funzionato il titolo, perché abbiamo sbavato un po’ e quando abbiamo ripassato col nero è venuto malissimo.

M.: noi abbiamo scritto una frase con la regola dell’H e poi dovevamo scrivere Ecco un esempio, ma non l’abbiamo ancora scritto, ci manca ancora un po’. Ha funzionato lavorare insieme, un pezzo del lavorare insieme, perché all’inizio loro hanno dettato e io ho scritto; quello che non ha funzionato è che ci abbiamo messo un po’ troppo a scrivere il titolo e io sono stato un po’ critico.