Non sono per principio
contraria ai compiti; sono però contraria ai compiti noiosi, banali o al
contrario molto complicati. Sono contraria, soprattutto, ai compiti inadeguati
alle bambine e ai bambini che dovranno svolgerli.
Al contrario, mi piacciono i
compiti che immagino piacevoli, quelli che ciascun bambino e ciascuna bambina
siano in grado di svolgere in autonomia, che possano costituire un bel ricordo per
chi li ha fatti.
Per queste vacanze ho
assegnato, come compito delle vacanze, #soloparolebelle, un hastag che da un
paio d’anni contraddistingue alcune attività di senso svolte in classe (vedi i compiti per le vacanze natalizie dei miei ragazzi e delle mie ragazze in terza
o il gioco che insieme facciamo, al rientro dal fine settimana, il lunedì
mattina).
Uno schema realizzato in
classe dalle insegnanti, quindi: su un foglio F4, una tabella suddivisa in
quattro righe e quattro colonne, a formare 16 quadrati da contraddistinguere
con il numero progressivo della data delle vacanze, a partire dal 22 dicembre fino
al 6 gennaio.
In alto, uno spazio bianco
in cui scrivere SOLO PAROLE BELLE DI… completato con il nome dell’autore/autrice.
All’interno di ogni riquadro,
una parola (i più han scritto una frase, uno ha disegnato) a rappresentare la
bellezza di ogni giorno.
E se spesso troviamo CINEMA,
NATALE, REGALI, GIOCHI, PATTINARE, FUOCHI, è bello leggere, tra le parole
belle, il nome di un fratello o degli amici, LIBRO DELLA SERA, RIDERE,
RITROVARE CASA MIA, SONO ANDATA IN LIBRERIA, BIBLIOTECA, MAESTRA, COSTRUISCO LA
MIA BANCARELLA, A CASA A ASPETTARE LA SCUOLA!
Una
stella è una lampada in cielo, una
stella è un desiderio. Una
stella è un segno di pace,
una
stella è quel che ci piace. Una
stella è luce sul cammino, una
stella è il cuore di un bambino. Una
stella è bella da guardare, una
stella ci insegna ad amare. Una
stella illumina la via, una
stella è pace e magia.
Classi 1^, scuola primaria Carimate
Da qualche settimana, le
stelle guidano davvero il nostro cammino.
L’han fatto, sin dal primo
lunedì di dicembre, con l’animazione per tutti i bambini e le bambine, le
ragazze e le ragazze dei nostri due plessi, del magnifico racconto La volpe e la stella, di Coralie
Bickford-Smith, Salani.
Come incomincia:
“C’era una volta una volpe che abitava
nel profondo di una fitta foresta.
Volpe era piccolo e gli alberi erano
molto più alti delle punte delle sue orecchie. Per questo si sentiva intimidito
e aveva paura ad allontanarsi dalla sua tana. Eppure, per quel che Volpe poteva
ricordare, ogni volta che si era svegliato di notte, c’era sempre stata la luce
calma e serena di Stella. Insieme creavano sentieri attraverso gli
alberi, Stella rischiarava le ombre davanti a lui. Stella era l’unica amica di Volpe.
Stella illuminava la strada per Volpe
mentre lui andava a caccia di scarafaggi e si buttava tra le spine
aggrovigliate.
Stella osservava mentre Volpe dava la
caccia ai conigli e correva tra i cespugli. Anche quando cadeva la pioggia, Volpe
era contento. Chiedeva a Stella di splendere attraverso le nubi, in modo che
lui potesse ballare al ritmo tamburellante della pioggia. Tutta la felicità di Volpe dipendeva
dalla luce tremolante di Stella. E così era sempre stato.”
BICKFORD–SMITH C., La volpe e la
stella, Salani
Abbiamo poi riletto il libro, in classe,
e ho subito chiesto alle bambine e ai bambini cosa fosse e cosa facesse una
stella.
Una
stella è qualcosa che ti protegge, ognuno ha la propria stella.
Una
stella è una lampada che sta in cielo.
Una
stella è un desiderio.
Tra queste prime risposte,
si celava già l’inizio della nostra poesia, ma ancora non lo sapevamo.
E poi, ancora:
Una
stella è una magia.
Una
stella è il mio cuore. Una
stella è per aiutarci nel buio. Una
stella è la forma di una stella. La
stella è la luce del mio cammino. La
stella è il mio amore. Una
stella è il miglior amico del cuore. Una
stella è un segno di amore. Una
stella è una lampadina perché di notte fa la luce. La
stella è un segno per tutti noi della pace. La
stella è una che fa la luce. La
stella è il cuore di un bambino.
Le frasi dei bambini erano scritte, esattamente com’erano
state pronunciate. E per qualche giorno se ne sono state lì, tranquille. Poi
alcune sono emerse, più o meno lentamente, e la poesia ha preso forma.
Nel frattempo, prendevano forma anche alcune idee dei
bambini sul regalo da realizzare per le famiglie:
Un
sacchetto con un filo legato sopra con dentro un cioccolatino
Una
scatola piccolina di latta, poi ci mettiamo dentro tanti tanti cuori finché non
la riempiamo tutta, poi prendiamo un foglietto bianco, ci stampiamo tutti sopra
un bacio, con il burro cacao o il rossetto, come Zeb e la scorta di baci
Un
cartoncino, poi facciamo un cuore, lo coloriamo di rosso, poi facciamo un buco
dentro il cuore e facciamo una collana
Si
può prendere una scatola lunga, magra, e mettere dentro il vino Facciamo
un bigliettino di carta e poi ne facciamo due, anzi, io ne faccio tre perché
c’è anche mio fratello, e poi glieli diamo
Prendiamo
una piccola scatolina… un cartoncino, lo trasformiamo in un cubetto di cartone,
e dentro ci mettiamo due cuori e facciamo un disegno con del cartone, come la
scatolina, e facciamo la famiglia
Possiamo
fare un disegno con tutta la famiglia, scrivere il nostro nome, poi facciamo
una scatolina dove mettere dentro qualcosa, poi possiamo fare un biglietto
della classe e possiamo mettere dei regali, dei baci e delle stelline
Ed ecco tornare le stelline, con piccole scatoline, e un
biglietto, o magari due o tre, se ci sono dei fratelli…
Volevamo che il regalo fosse realizzato interamente dalle
mani dei bambini e delle bambine, e che fosse davvero gratuito: così, abbiamo incominciato
col preparare la carta acquarellata e ripassare il contorno di una stellina
modello, in modo da averne alcune. Le altre sono state realizzate su F4 bianchi e
decorate a piacere. Dietro, i nomi dei destinatari.
È ancora presto perché i bambini possano realizzare in autonomia delle
piccole scatole; così ho chiesto loro di disegnare con i pastelli su un foglio A4
un’illustrazione natalizia. Seguendo le semplici istruzioni di un tutorial, abbiamo realizzato una bustina per ognuno (a tutti gli effetti, questo è stato,
insieme alla ricomposizione dei versi poetici, l’unico intervento adulto in
tutto il lavoro).
Abbiamo incollato la poesia sul biglietto augurale, anch’esso
realizzato dai bambini e fatto stampare in tipografia, e inserito il tutto
nella bustina.
Ed ecco i nostri regali di Natale finalmente pronti.
La nostra nuova consonante è
la L, e io vado a colpo sicuro, pescando dal mio scaffale Una lettera per Leo, di Sergio
Ruzzier, Topipittori, felice caso in cui sia il protagonista che l’oggetto del
titolo iniziano con identica lettera. “Facciamo
la L” gridano infatti i bambini.
Una storia deliziosa e
breve, di un postino che sogna di ricevere la sua prima lettera, e invece scova
un uccellino, che forse ha smarrito il proprio stormo. Non c’è altro da fare
che accoglierlo in casa propria, e con lui fare famiglia.
E, quando sarà il
momento, lasciarlo andare, perché possa tornare con la propria. Non senza una
lacrima, certo; ma forse, nell’attesa, con una speranza in più.
I bambini e le bambine si
fanno passare il libro, lo sfogliano, cercano di copiare qualche immagine (Ma lui lo tiene troppo!). Disegnano, e
come sempre scrivono. Come sono capaci. Ogni giorno sempre più capaci.
Dico loro che poi faremo un
altro lavoro: ognuno scriverà una lettera a chi desidera.
Qualcuno ha già deciso prima
ancora che io termini la frase; altri devono pensarci ancora. Intanto copiamo
il titolo: Una lettera per… Ognuno
aggiungerà il destinatario.
Passo tra i banchi, leggo e
spesso sorrido. A volte mi commuovo. Penso alle mamme e ai papà che leggeranno
la prima lettera del loro bambino, della loro bambina. Penso a quanto sarà emozionante
cercarle e rileggerle tra qualche anno (anche a questo servono ancora i
quaderni: a documentare), ritrovando dentro quelle parole, quelle prime
scritture -che non sono tentativi, sono scritture vere, dense e piene- il senso
vero e primo della scrittura: comunicare.
Penso ai fratelli maggiori, belli, gran pescatori e allo stesso tempo, come tutti i fratelli maggiori, alcune volte mostruosi.
Penso agli amici del cuore, quelli a cui vorresti stare sempre vicino.
Penso
alle amiche più grandi, che si vedono solo nel dopo mensa, perché all’intervallo
non escono mai. Penso alla lettera alla maestra della scuola materna, che "mi manca tantissimo e più di tutto era come tutte le maestre" (chiedo: E come sono tutte le maestre? Lei risponde: Le mie, quelle della mia classe, sono belle.)
E penso alla lettera al nonno, colma di N, a conferma della bellezza dei nonni, con quelle tre N vicine vicine, e continuamente ripetute. Forse quella che mi
emoziona di più.
A giudicare dai disegni e dalle parole dei miei, acqua e
altri liquidi rovesciati, vasi e finestre rotte, o addirittura qualcosa di cui
è meglio non parlare. C'è anche chi si è perso nel bosco.
I disastri si fanno da soli o in compagnia, spesso di
fratelli e sorelle: e questa dimensione aiuta sicuramente nel momento dell’assunzione
di responsabilità. Cosa c’è di meglio, infatti, che avere qualcun altro con cui
dividere le colpe?
Nei giorni scorsi mi sono chiesta spesso se la dimensione
del disastro sia data dalla consapevolezza bambina, oppure, piuttosto, dal
condizionamento delle aspettative adulte. Può essere considerato disastro,
infatti, anche ridere a tal punto da “disturbare” la lettura, ed essere
richiamati dalla maestra.
Ma com’è possibile non ridere, ascoltando le vicende
narrate nel nuovo, attesissimo albo di Beatrice Alemagna, Il disastrosissimo disastro di
Harold Snipperpot, edito in Italia da Topipittori?
Un libro che ha
fatto letteralmente sbellicare dalle risate i miei bambini e le mie bambine.
Già, sbellicare. E sappiamo bene quanto siano contagiose, le risate bambine, e
quanto giochino a rincorrersi e a superarsi, in un crescendo che diventa
difficile contenere, tanto che, appunto, l’insegnante arriva addirittura a
richiamare chi cerca di vincere la gara del chi
ride più forte.
Non c’è supponenza, né paternalismo, in questa storia;
anzi, se c’è una redenzione degli adulti protagonisti, essa avviene solo
tramite il disastrosissimo disastro che il mondo animale mette in atto con una
sorta di caparbia volontà.
I genitori di Harold ricordano vagamente quelli di Matilde,
meravigliosa protagonista del capolavoro di Roald Dahl: “sempre di cattivo umore, corrucciati. Allergici alle coccole e alle
risate. Non parliamo, poi, dei baci della buonanotte: fantascienza pura!”
L’unico modo, per vincere la loro resistenza alle feste
di compleanno, è il mutismo del protagonista: un bambino che non parla li
preoccupa a tal punto da infrangere, per una volta, la loro ostinazione, e
costringerli alla resa.
Gli effetti saranno dirompenti, a tal punto da far dire
alla madre di Harold: “È divertente […]
come gli animali ci hanno insegnato a essere più umani”.
Alla forza dissacrante del testo, si aggiungono la
bellezza e la forza delle immagini dell’autrice, come sempre capace di raffigurare
l’infanzia con uno sguardo occhi negli occhi, alla medesima altezza dei
bambini.
Come incomincia:
Ci
sono giorni in cui tutto va storto.
Giorni
in cui sentiamo che sta per succedere qualcosa di grave e che, dopo, nulla sarà
più come prima.
La
mia storia inizia proprio in una giornata così.
ALEMAGNA B., Il disastrosissimo
disastro di Harold Snipperpot, Topipittori
Perché dopo
esserci a lungo interrogati sulle stagioni, e sul loro protendersi una nell’altra,
e sul loro rincorrersi, e continuamente ritornare, è molto facile passare a un
albo edito dalla stessa casa editrice, orecchio acerbo, che tanta cura riserva
alle scelte del proprio catalogo.
E così Laurent
Moreau ci regala un’altra perla preziosissima, che ci accompagna in una
riflessione densa sul significato del dopo contestualmente a ciò che
accade nella nostra vita, anche in quella piccola, minuscola, quotidiana.
Scrivevo, ormai cinque anni fa:
“Ci sono albi di cui t’innamori a prima vista, come un colpo di fulmine,
uno spaccacuore: ne vedi la copertina e pensi che non potrai più vivere senza.
Li sfogli, osservi le immagini, leggi col fiato sospeso le parole che le
accompagnano e un riverbero di luce illumina anche la più grigia delle
giornate: quello che hai tra le mani è un libro perfetto. Perfetto per te, e
per i tuoi bambini sempre a chiederti: “E dopo cosa facciamo?”. Perfetto nel
raccontare ciò che avviene dopo ogni attimo, ma soprattutto nel ricordare che
DOPO QUEST’ATTIMO, NON CI SARÀ MAI PIÙ
QUEST’ATTIMO (Maestra, cos’è un attimo?)
Dopo cinque anni in cui sono cambiati i
bambini e le bambine, e sono cambiata anch’io, la domanda si è ripetuta. E
ancora una volta, abbiamo letto insieme:
Una dopo l’altra si susseguono le
stagioni, e un ragazzo s’interroga sul “dopo”, facendoci partecipi delle sue
sensazioni, delle sue emozioni. Dei brividi dopo il bagno e dell’affanno dopo
la corsa; della gioia dell’incontro dopo la separazione; del silenzio dopo la
collera. Ed è ancora la natura -la pianta dopo il seme, il frutto dopo il
fiore- che accompagna le sue riflessioni sulla crescita-dopo il compleanno sono
diventato un po’ più grande; dopo molti anni sarò sempre lo stesso?- fino ad
arrivare a quelle sul tempo e sullo spazio-dopo questo secondo non ce ne sarà
un altro uguale; cosa c’è dopo l’orizzonte?-e persino, lievi e delicate, sulla
morte. La vita, il tempo che passa, gli interrogativi sul futuro, la gioia
dell’attimo presente nell’immaginario, diretto e immediato, dell’infanzia.
Il nostro libro di testo propone, dopo la consonante S, la D. Per me non fa troppa differenza la successione
temporale della presentazione di lettere e sillabe, così mi adeguo, cercando e
trovando all’interno di questi passaggi nuovi collegamenti. Ad esempio, mi
piace pensare al legame tra la S di stagioni e la D di dopo, tanto più che bambini e
bambine stanno lavorando sugli stessi concetti anche con la collega, in storia.
Così scelgo dalla mia
libreria il volume Stagioni, di Blexbolex, che leggiamo a lungo, dedicandogli
davvero il tempo che merita, seduti comodi sui cuscini, per terra.
Guardiamo le immagini, e i più
veloci leggono le parole, scritte in uno stampato dai grandi caratteri. Le
stagioni scivolano una sull’altra in un ciclo continuo che non si interrompe,
ma continua, un’altra volta, e un’altra ancora, e ancora, e ancora (Dopo l’estate – dico – ci sarà un nuovo autunno, e saremo in
seconda, e poi ancora, inverno, primavera, estate, e un altro autunno… E saremo
in terza – intervengono loro - e poi
in quarta, in quinta, e alle medie!).
Alcune immagini ritornano,
paiono simili ma sono diverse (Prima era
un’allergia, adesso è un raffreddore). Sovente tra loro c’è un nesso
causale, oltre quello temporale.
Arriviamo alla fine – UN’INFANZIA – quando tutto è piccolo, e ancora
ha tempo per crescere, dico.
Poi rimettiamo i banchi al loro posto, riempiendo lo spazio vuoto creato al centro
dell’aula per la lettura.
Ci sediamo, e scriviamo sul
quaderno il titolo del libro: STAGIONI.
E, accanto, una sola, di cui ognuno racconterà qualcosa.
Perché è vero che in autunno cadono le foglie, e in estate i raggi del sole scendono
(riuscite a vedere la bellezza di questi raggi, che arrivano fino a terra,
addirittura piegandosi ad angolo retto?), ma una stagione può essere speciale,
e cara al cuore, perché c’è il nostro compleanno, o il matrimonio degli zii, perché gli orsi escono finalmente dal letargo o perché si va col nonno sul trattore.