È alla terza ripetizione di meravigliosa, accostata alle parole scuola elementare, e insegnanti, da parte della scrittrice
(ed ex insegnante) Paola Mastrocola, durante l’intervista telefonica di
Farheneit-Rai3, che mi infastidisco. Ed è un fastidio che mi obbliga a
scrivere.
La scuola elementare, i suoi
insegnanti, non sono meravigliosi: sono veri.
Siamo insegnanti, certamente
non meravigliosi, che lavorano in un ordine di scuola, altrettanto non
meravigliosa, in cui si cerca di porre le basi per gli apprendimenti futuri, e,
checché ne dica la Mastrocola, per la vita. (Errore. Me ne accorgo ancora prima
di terminare la frase. Le basi si cominciano a porre fin dalla scuola dell’infanzia).
Ai miei ragazzi dico sempre
che siamo nati per le cose difficili, altrimenti l’uomo sarebbe ancora all’età
della pietra. E su questo sono d’accordo con la Mastrocola. E lo è anche Franco
Lorenzoni:
“Educare
allo sforzo oggi è decisivo, ma bisogna capire in che direzione facciamo questo
sforzo."
C’è qualcosa, però, che la
Mastrocola, ex, e sottolineo ex, professoressa di liceo, pare non sapere: la
scuola elementare è scuola dell’obbligo.
È scuola non scelta secondo
le proprie attitudini, o inclinazioni, o aspettative.
È scuola per tutti, e di
tutti. È scuola, soprattutto, per chi non ha altra scuola; per chi trova dentro
la scuola l’unica, o la maggiore, possibilità di conoscenza, di apprendimento,
di cultura.
E allora, l’asticella della
difficoltà dev’essere ogni volta, e per ogni bambino, per ogni ragazzo,
calibrata: non esiste una misura sola. Forse ne esistono tante quanti sono i
bambini, i ragazzi che abbiamo di fronte.
“Noi
dobbiamo lavorare molto nella costruzione dell’immaginario dei ragazzi. La
grammatica, benissimo. Noi dobbiamo imparare la grammatica, dobbiamo imparare l’ortografia,
ma dobbiamo farlo dentro un contesto di senso, perché le parole hanno senso. […]
è bello che il bambino sappia che quando scrive c’è un senso in quello che sta
scrivendo: sta scrivendo a qualcuno, sta scrivendo per qualche cosa.”
[…] Il lavoro, per tutti noi, è quello di
dire: la scuola è un luogo culturale, decisivo per la società?
[…]
Il cuore di tutto sta nella formazione degli insegnanti. Noi dobbiamo avere degli
insegnanti colti, motivati, in luoghi curati, perché l’immagine che la scuola
dà…Se si chiudono le biblioteche, se si chiudono i teatri, poi ci lamentiamo
perché la scuola
Una
scuola è seria se sa ascoltare i ragazzi
Il
ragazzo entra in relazione con la letteratura se la sente sua. […] si
appassiona perché sente che quelle parole parlano proprio di lui, di quello che
sente.
Allora
non è che i ragazzi non hanno emozioni. Hanno delle emozioni profondissime. Non
hanno le parole per esprimerle. Allora sta a noi trovare, costruire quel ponte
tibetano, che è veramente un ponte tibetano sull’abisso, tra la cultura, la
grande cultura, e i ragazzi, i bambini, i giovani di oggi. Questo è uno sforzo
enorme, che richiede tanta, tanta cultura, tanta ricerca. E anche investimenti
per fare questo.
Franco Lorenzoni, puntata di Fahreneit del 27 marzo 2017
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