In una
città molto rumorosa, dove i giorni trascorrono sempre uguali, ruvidi come
carta vetrata e sotto un cielo quasi sempre piovoso, apre un negozio dove si
trova riparo dal maltempo e da qualsiasi tempesta dell’umore: la pasticceria Zitti.
Il
signor Zitti ha un ingrediente speciale per i suoi dolci. Per questo sono così
buoni. Non si tratta di uno zucchero esotico e nemmeno di un cacao sconosciuto
o di una cannella d’importazione…
Come incomincia:
“C’era
una volta…
…una
città molto rumorosa, dove le macchine sfrecciavano per strada con i loro
motori rombanti e la gente era sempre indaffarata.
Una
città che, in fondo, era come tutte le altre, dove le persone consumavano
milioni di parole. In famiglia, sul lavoro, al mercato: ognuno parlava a più
non posso e qualcuno, persino, urlava.
Ma,
nonostante la gran quantità di parole di cui disponeva, la gente raramente
riusciva a capirsi…
…perché
in una parola era nascosta sempre un’altra parola e non era per niente facile
scoprirle tutte.”
BRUNO – GARLASCHELLI, La pasticceria Zitti, La Margherita Edizioni
In
un mondo pieno di parole, suoni e rumori, il silenzio diventa l’ingrediente
segreto, perfetto per rendere unici e inimitabili i prodotti della famosa
pasticceria Zitti.
Ma
è davvero, sempre così?
Per
chi è abituato a una vita frenetica e rumorosa il silenzio si idealizza in un’oasi
irraggiungibile, sinonimo di pace, tranquillità, riflessione…
A
volte però ho la sensazione (forse da insegnante) che il silenzio richiesto ai
bambini sia solo un’esigenza adulta di tranquillità, di fuga dalle loro
domande, talvolta impertinenti (nel senso più pieno e letterale della parola) e
spesso ineluttabili.
Quel
“Silenzio!” o peggio “Zitti!” invocato spesso in classe rischia di rivelarsi un
modo sbrigativo di risolvere la questione: decido io, l’adulto, il maestro,
quando è il momento di parlare o di tacere, e soprattutto scelgo io quali sono
le domande (o le risposte, o le considerazioni) giuste, opportune, logiche,
sensate, chiudendo fuori dalla porta tutto ciò che sfugge ai rigidi schemi
mentali che “costringono” il pensiero adulto.
Ho
spesso la sensazione che siamo prigionieri di due opposte dimensioni: da un
lato, spazi e tempi pieni, colmi, tracimanti di parole. Dall’altro, silenzi che
nascondono l’incapacità di comunicare, densi di parole non dette, di
frustrazioni irrisolte, di zone off limits, per gli altri come per noi stessi.
A
volte mi sembra manchi la dimensione naturale: quella delle parole dette e
pensate, talvolta sussurrate, in equilibrio con pensieri lasciati liberi di
crescere dentro di noi e, se lo desideriamo, condivisi con chi ci vive accanto.
Forse
è proprio questo che dobbiamo ai bambini…
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